“Quando scese a Bricherasio per prendere la coincidenza per Pinerolo, Dante era tranquillo; da quasi sei mesi faceva il portaordini di quella che era appena diventata la 4^ Brigata “Cuneo” che operava tra Bagnolo, Barge, la val Po e il cuneese, e forte del suo lasciapassare di tecnico Fiat non aveva mai incontrato problemi, né coi fascisti né coi tedeschi.

Quel giorno non era in missione: aveva ottenuto un permesso per andare a festeggiare il suo onomastico con la famiglia a Borgo San Pietro a Moncalieri, quantomeno con quelli che erano rimasti: Luigi che era in val Susa coi garibaldini difficilmente avrebbe potuto esserci, ed Ermelinda bisognava vedere che non avesse una qualche missione da compiere, la sua solita borsata di soldi e documenti da portare ai garibaldini di Biella per conto del comando.

Era l’anno 1944; il 19 marzo, festa di San Giuseppe, per l’appunto.

Dante non si preoccupò quando vide i due militi venire verso di lui e affettò la solita indifferenza quando gli chiesero i documenti; ma quando li vide tirar fuori dalla tasca una fotografia e confrontare che fosse ben lui la persona che vi era fotografata, capì: il suo amico carabiniere lo aveva tradito e lo aveva denunciato alle milizie fasciste di Bricherasio, che erano lì alla stazione apposta per lui. Diede uno spintone alle guardie e scappò verso la pianura. Corri, Dante, corri..!”

Questo, raccontato con parole storicamente fondate ma con l’aggiunta di un pizzico di immaginazione, è l’epilogo della vita di Giuseppe Da Giau, il partigiano “Dante”.

L’8 settembre del 1943 colse Giuseppe soldato in Carnia; preso prigioniero dall’esercito tedesco fu internato in un campo da cui riuscì a fuggire con l’aiuto della madre, una intrepida donna che era partita da Moncalieri al solo scopo di salvarlo: e ci riuscì. Tornato a casa, dopo essersi fatto assumere come tecnico dalla Fiat, ai primi di ottobre salì sulle montagne tra Barge e Bagnolo per unirsi a quella che stava divenendo la I Divisione di garibaldini “Carlo Pisacane” comandata da Barbato.

Il seguito di quello che successe quel 19 marzo del 1944  ce lo racconta don Simone Molinero, parroco di Osasco, in uno scritto che è poco più che una serie di appunti presi su un quaderno di computisteria che è arrivato fino a noi; grande amico e collaboratore dei partigiani, don Molinero si trovò in prima persona davanti all’epilogo della vita di Dante.

Da Giau Giuseppe portaordini viene arrestato alla stazione di Bricherasio dalle Brigate Nere. Riesce a fuggire dando due ceffoni alle due guardie che lo custodiscono. Mentre fugge verso la Cappella Merli una pallottola lo raggiunge nella schiena ed esce perforandogli il polmone. Il poveretto continua di corsa il suo cammino fino alla Cascina del Colombe, si fa imprestare una bicicletta e giunge a Cappella Merli.

Il Cappellano, Don Beriachetto lo caricava sopra un barroccio e me lo porta fino alla Favorita. Viene quindi ad avvertirmi. Telefono al dottore con frasi convenzionali; parto con medicinali insieme a due giovani del paese; Camusso Francesco e Capitani Giuseppe. Dopo una sommaria medicazione lo assistiamo amorevolmente tutte la notte, cercando di ammansire il proprietario della cascina Sig. Bruno Andreas che inveisce contro di noi e contro il partigiano, pregandoci di portarlo fuori, per paura che i tedeschi per rappresaglia gli incendino la cascina. Durante la notte amministro al paziente i Santi Sacramenti che riceve con edificazione. Il mattino seguente, prima dell’alba ritornando a casa per la Messa, incontro il dottore con la macchina; lo porterà all’Ospedale Cottolengo. Poiché avevo l’indirizzo della famiglia del ferito, dopo due ore di riposo parto in bicicletta per Moncalieri (Borgo S. Pietro) per avvertire la famiglia.

Giunto a Candiolo devo fermarmi perché l’aviazione bombarda Moncalieri. Giunto all’indirizzo e dopo essermi assicurato che non ci sia nessuna faccia di poliziotto (poiché le carte del partigiano erano state riciclate) domando notizie della famiglia Da Giau. Salgo così in casa e incontro il papà, la mamma, un fratello e un cognato.
Dopo aver esposto la situazione, ritorno a Pinerolo accompagnato dal fratello del ferito. Lo accompagno fino a piazza S. Croce e poi gli do tutte le indicazioni per farsi riconoscere. Dal Cottolengo lo mandano all’Ospedale Civile, dove finalmente può vedere il fratello ferito.”

Il resto lo racconta invece la sorella Ermelinda, la staffetta partigiana ”Linda”, in una testimonianza video pubblicata il 24 aprile 2018. Questa è la trascrizione del parlato:

Questo me l’ha raccontato il chirurgo che l’ha operato, dice: ma questo non era un ragazzo era un leone perché l’operazione che gli ho fatto… Deve stare solo tranquillo. Invece l’hanno trovato i fascisti, hanno incominciato a seviziarlo e lui… E’ andata mia mamma a trovarlo e [lui] ha chiamato il professore che l’ha operato e […] dice è meglio che pianga lei sola piuttosto che tante altre mamme, perché aveva paura.., se faccio dei nomi muoiono è meglio che muoio io, e allora appunto dato che era stato ferito si è appeso alla sponda del letto, c’era quel professore che piangeva come un bambino, si è tirato su, si è procurato una peritonite e se ne è andato.

Era il 28 marzo del 1944. Qualche mese dopo la mamma di Giuseppe, Popp Emilia, si toglierà la vita. Anche un suicidio può essere un assassinio.

A Giuseppe Da Giau nel 1956 fu intitolato un circolo fondato dai licenziati per rappresaglia della Fiat di Valletta; il circolo, affiliatosi all’ARCI negli anni 60, è stato un punto di riferimento per tutta l’area torinese.

Giuseppe “Dante” Da Giau

La Cascina Colombe[ro] di cui scrive don Molinero in strada Valpellice all’altezza della circonvallazione di Bricherasio. E’ probabile che Dante sia scappato lungo i binari della linea per Barge, che in quel tratto sono a pochi metri dalla cascina.

Il video della testimonianza di “Linda”.