Della pastasciutta che la famiglia Cervi offrì sulla piazza di Campegine per festeggiare la caduta di Mussolini, quello che la storia ha ritenuto è la potenza simbolica del gesto: festeggiare la caduta del duce e festeggiarla collettivamente, nella piazza delle adunate fasciste; affermare lo stretto legame fra fame e fascismo e saziare la fame nel momento in cui il fascismo cade; saziarla con una pastasciutta, cibo odiato dai futuristi, grandi ispiratori di imbecillità per i fascisti. Eccone una: “La pastasciutta […] lega coi suoi grovigli gli italiani di oggi ai lenti telai di Penelope e ai sonnolenti velieri, in cerca di vento.” (T. M. Marinetti, “Manifesto della cucina futurista”, Sonzogno, Milano, 1932).
Ma a parte la potenza simbolica del gesto, la storia non ha ritenuto molto altro su quella pastasciutta offerta dalla famiglia Cervi: non si sa quanti quintali di pasta siano stati preparati e cucinati, e non si sa nemmeno il giorno esatto in cui siano stati mangiati.
Alberto Grandi, professore di Storia dell’alimentazione all’Università di Parma, autore insieme a Daniele Soffiati del podcast “Doi – Denominazione di origine inventata”, in una puntata del suo podcast dedicato proprio alla pastasciutta antifascista dei Cervi, ci fornisce qualche preziosa informazione utile a capire cosa fu quella pastasciutta, perché può dirsi effettivamente antifascista a prescindere dalle intenzioni dei Cervi, e cosa era l’alimentazione dell’epoca.
Due piccoli assaggi: la pastasciutta antifascista dei Cervi, ci rivelano Grandi e Soffiati, non doveva essere molto buona, e (tenetevi forte) la pastasciutta era un’abitudine alimentare che veniva dall’America.
Sotto, la puntata del podcast “Doi – Denominazione di origine inventata” dedicata alla pastasciutta antifascista dei Cervi.