Estratto dal n° 6C della serie di 12 Quaderni multimediale sulla Resistenza – Scuola e Territorio
Ricerca triennale delle classi
a.s. 1997-’98: 1^ B/IGEA e 5^ B/PNI
a.s. 1998-’99: 1^ A/IGEA e 4^ A/Op.Tur.
a.s. 1999-2000: 2^ A/IGEA e 5^ A/Op.Tur.
dell’Istituto Tecnico Statale Commerciale e Professionale per il Turismo “L. B. ALBERTI” di Luserna S. G. e Torre Pellice
Coordinata dai Proff. Luigi Bianchi e Marisa Falco

Qui il sito originarioQui abbiamo raccontato la storia dei Quaderni

Leggi il testo qui di seguito o vai all’opuscolo originale.

Avevamo anche momenti sereni

Tra una operazione di disturbo, un rastrellamento e una battaglia, la banale vita del partigiano: il turno di guardia, la corvée, il giro a carte, qualche scherzo, il prigioniero viennese che suona “O sole mio”, il disertore tedesco che fa da istruttore, il partigiano sonnambulo, la seta del paracadute da regalare alle staffette che ne avrebbero fatto sgargianti camicette. E il pranzo sontuoso di Pasqua 1945 che ha il sapore della Liberazione.

Luserna San Giovanni, 25 gennaio 2000

Paschetto
Signori, signorine, diplomande, diplomandi di scuola media superiore, i miei auguri per il raggiungimento di un traguardo che credo vi siate prefissi.
Vi chiedo di fare un piccolo volo, per voi è un volo nella fantasia, nella pura fantasia, per noi che abbiamo i capelli bianchi, quei pochi che ancora abbiamo, è invece un tuffarsi nei ricordi antichi che ormai oltrepassano il mezzo secolo e questo volo di fantasia, per noi semplice e per voi difficile, è…
Cancellate tutto quanto voi vedete qua dentro. Tutte le apparecchiature che voi vedete; cancellate il telefonino cellulare, la televisione; cancellate gli elettrodomestici; cancellate le motociclette, le automobili. Qua in valle a quel periodo quattro o cinque automobili: si viaggiava a piedi; i più fortunati avevano già una bicicletta. Una vita molto modesta, poche radio, pochissime radio. Un’economia mista fatta di campagna, il piccolo campicello, il piccolo orto, il prato, le due mucche nella stalla, un membro della famiglia sempre a lavorare negli stabilimenti tessili che allora c’erano: Mazzonis e Stamperia a Torre Pellice, la Pralafera a Luserna San Giovanni, senza dimenticare Vaciago a Luserna e Turati a Lusernetta. Vita molto semplice e molto modesta, una vita che voi non potete più, ed è logico, concepire; altri più fortunati, forse per guadagnare qualcosa di più, pendolari.
Allora unico modo per viaggiare – Torre Pellice, Pinerolo, Torino – era il treno. A voi che vi interessate di turismo può essere utile sapere: in alta valle, a Villar e a Bobbio, c’erano la corriera del mattino e la corriera della sera, due sole corse.
In questo clima, in questo panorama, diciamo così, arriva la lunga, quella che è stata definita ‘la lunga notte’. Il professore prima ha detto di non fare troppa storia, volevo fare comunque un preambolo per inquadrare quello che poi è la Resistenza. Il famigerato 10 giugno 1940, Mussolini dal balcone di palazzo Venezia a Roma dichiara guerra a Inghilterra e Francia: è guerra. Qua sulle nostre Alpi, c’è l’ordine di eventualmente lasciare le nostre case con la chiave nella toppa. Udiamo il rombare dei cannoni sul fronte occidentale che è verso la Francia, contro quella Francia che ormai era in ginocchio di fronte alla Germania.
La guerra poi si allarga: noi perdiamo la nostra Etiopia, quello che era il nostro impero; la guerra si fa cruenta sul fronte settentrionale dell’Africa; più tardi poi con il generale e maresciallo tedesco Rommel è un avanti e indietro senza, come dice una canzone, il gran divertimento delle truppe italo tedesche dalla Libia in Egitto e viceversa.
Ma poi ci vuole qualcosa di più, ci vuole la guerra contro la Jugoslavia; ci vuole la guerra contro la Grecia, che ha difeso in un modo meraviglioso le sue terre e dove i nostri alpini, basta parlare di Voiussa e di Jiulia, i nostri alpini han visto le streghe, han visto i sorci verdi e poi c’è l’Armir, l’armata italiana in Russia, formata in gran parte dagli alpini, quegli alpini che poi fanno quella famosa ritirata dal Don fino a rientrare in quello che è l’esercito. Gli alpini descritti da Giulio Bedeschi, allora tenente: guerra e ritirata, nella quale è morto il generale, possiamo dire nostro concittadino, Giulio Martinat, di cui c’è il monumento a Perrero.
E giunge il 12/7/43 [in realtà 10/7/1943]: lo sbarco delle truppe alleate in Sicilia. La Sicilia verrà, se volete dite ‘occupata’ o, se preferite, ‘liberata’ in poco più di 40 giorni: è un momento cruciale e difficile. Il 25 luglio, il Gran Consiglio del fascismo obbliga Mussolini a dare le dimissioni. E’ finito il fascismo, siamo tornati alla libertà. Niente affatto. Prende il comando il generale Badoglio che stabilisce addirittura il coprifuoco; non ci si può riunire più di 5 persone, perché il rischio è di ricevere le schioppettate dell’esercito.
Il maresciallo Badoglio purtroppo tergiversa, diventa molto enigmatico e, finalmente, si decide a chiedere l’armistizio agli Angloamericani, in ritardo, purtroppo. Saccheggio delle caserme: una cosa inenarrabile, io l’ho visto, io ho visto il saccheggio della caserma di Bardonecchia: 3000 nostri soldati fuggire davanti a 18 tedeschi comandati da un giovane sottotenente. Questo l’ho visto con i miei occhi. Il saccheggio: colpi di pistola nelle botti, vino che corre per terra, gente che si appropria di scarpe, di derrate alimentari, di armi, di munizioni. Le caserme si svuotano.
Ma è qui, cari amici, che incomincia la Resistenza; ci sono militari siciliani, pugliesi, calabresi, lucani, campani, che non possono raggiungere le loro case; mentre altri più fortunati, vestiti con abiti civili dai civili, riescono a raggiungere le loro case. Questi cosa possono fare? E si formano per necessità le prime bande, che poi lentamente, pian piano vengono organizzate.
Da un punto di vista, direi, Vittorio, sia militare sia politico. Militare in un senso non come possiamo concepire oggi; io non ho mai dovuto dire al mio comandante, che è qui alla mia destra, dirgli ‘Signorsì’, ma semplicemente ‘Sì, Vittorio’. I comandanti poi non erano imposti, erano scelti dalla base: questa è la cosa meravigliosa della Resistenza. Gli uomini scelgono i loro capisquadra, scelgono i loro comandanti di distaccamento e quello che può essere la vita partigiana.
Qui in Val Pellice, abbiamo le prime bande: una cosa quasi paurosa, perché ci diciamo: ‘Ma sono dei banditi?’. Così eravamo chiamati dai tedeschi. ‘Bandit’. ‘Partisan’ solo quando erano più educati.
Le prime bande, cosa sono? E poi sappiamo che tizio è nella banda, sappiamo che Jacopo Lombardini è nella banda di Angrogna… c’è un corso, penso che lo sappiate, dedicato a Lombardini, che era un caro mio amico, morto a Mauthausen, gasato il 24 aprile del 1945: non ha visto la Liberazione, quella Liberazione in cui aveva creduto.
E si formano anche le prime bande in Val Luserna. Ci sono alcuni gruppi: uno si trova alla Galiverga, praticamente ai piedi del Frioland, dove c’è anche Pian Frulè, dove poi han fatto dei lanci. Lì forse è stata una delle prime basi dove io ho avuto il piacere di incontrare il comandante Petralia, al secolo Vincenzo Modica. E’ un destino che la Val Luserna sia comandata da ufficiali siciliani: sono ufficiali della Scuola di Cavalleria. Così è Barbato, al secolo Pompeo Colajanni, così è Petralia.
Si formano altre piccole basi perché non si può, per ovvi motivi, avere delle basi troppo numerose; d’altra parte, bisogna dislocarle, per essere più a portata di azioni, non voglio dire di guerra… sono azioni di guerriglia: disturbare il nemico il più possibile.
Nel frattempo, Mussolini, che era stato fatto prigioniero dal Re Vittorio Emanuele III e che era stato nascosto – l’abbiamo saputo solo dopo – sul Gran Sasso d’Italia, è stato liberato dai tedeschi e messo come comandante fantoccio della Repubblica di Salò sul lago di Garda. La piccola repubblichina che comunque si ingrandisce come numero di aderenti: c’è gente che non sa che pesci pigliare, non sa se andare a destra o a sinistra, avanti o indietro e allora… Fa comodo magari rivestire la camicia nera e far parte del piccolo esercito repubblicano, quel piccolo esercito repubblicano che diventa automaticamente il nostro nemico.
Diciamolo pure: è la guerra civile. Io, italiano partigiano, contro te, italiano repubblichino.
La base di Triboletto forse è una delle ultime basi, ancorché la più importante in Val Luserna; ma ci sono state basi nei dintorni di Rorà; ci sono state basi agli Uvert; al Bric, dove oggi è il Parco Montano di Rorà; nella casa di Valdesina Tourn, figlia di Aldo Tourn, che io ho ben conosciuto…
Basi dislocate dove si poteva e Rorà ha il merito enorme di aver salvato la vita a un numero consistente, che oltrepassa la trentina, di ebrei, che erano come nostri fratelli, che ci vedevano con gioia, anche se a volte con un po’ di paura, perché noi inevitabilmente attiravamo i rastrellamenti dove i fascisti e i tedeschi non si accontentavano di andare a caccia dei partigiani…
Dove passavano non potevi sbagliarti: c’era la scia di fuoco e di fumo, gli incendi delle case, il rischio per i borghesi di essere presi ostaggio o prigionieri o addirittura, come è successo e tra qualche giorno ricordiamo il 56° anno nell’Inverso di Torre Pellice, 7 civili sono stati messi a morte.
Vogliamo parlare di Triboletto..?
E poi c’è Vittorio che potrà dire più di me. Qualche cosa sulla vita dei partigiani? Non eravamo sempre col fucile in mano, non eravamo sempre in battaglia, in guerriglia; avevamo momenti anche sereni dove si giocava a carte, dove si cantava, dove si facevano cuocere le caldarroste in ottobre quando i castagni ce le davano, dove bisognava fare il pranzo, dove bisognava andare a fare la spesa, quella che militarmente viene chiamata la ‘spesa pane’: dove allora c’era la corvée, eravamo 4/5 con i sacchi di iuta e andavamo… e la sussistenza arrivava.
La sussistenza formata da una squadra meravigliosa di nostri fratelli e compagni partigiani che andavano in pianura, noi gravitavamo, se non vado errato, sulla pianura cuneese, la Provincia Granda, che dava la possibilità del burro, del lardo, della carne, dello zucchero, della farina, di quella bianca per fare il pane…
Noi al Triboletto, quasi quasi abbiamo vergogna di dirlo, noi avevamo quello che era necessario e vi farò poi anche un esempio molto simpatico; mentre i borghesi avevano un pane col quale ci si poteva fare una stella: la lanciavi contro il muro e faceva boomerang e te la ritrovavi in mano. Ne ho mangiato anch’io di quel pane, ma invece noi al Triboletto avevamo pane bianco.
Cosa era la sussistenza? Caricare quello sulle spalle, mettere la carne nelle casse di cottura militare e portarle nella bealera, nella gora, al fresco perché si conservasse, perché il frigorifero non sapevamo cosa fosse e poi tenere non all’umido la farina e tutte le altre derrate, le sigarette, il tabacco… Allora si metteva sul tavolo ed era il comandante che distribuiva a ciascuno di noi la razione di tabacco.
La base di Triboletto è stata importante; ora Vittorio non lo dirà, ma lui come comandante del distaccamento Venturelli – portava il nome di un nostro caduto a Montoso il 30 dicembre 1943 in una puntata dei Tedeschi – aveva anche delle responsabilità nei confronti di altri due distaccamenti, quello di Alberigo e quello di Penna Nera, che erano in valle. Lui aveva una specie di controllo, in altre parole, era il vice comandante della valle.
Come comandanti della valle abbiamo avuto Petralia, poi Romanino che era di Roma e poi abbiamo avuto il bravo, allora capitano e poi colonnello, Di Nanni. L’ho ancora incontrato un giorno a Pinerolo; lo saluto e gli dico: ‘Capitano Di Nanni, buongiorno!’; mi ricevo un pugno nella spalla e lui mi dice: ‘Mi devi dire ciao, perché, pur essendo colonnello, sono ancora pur sempre il vostro capitano’.
A fianco dei comandanti c’erano i commissari politici. In Val Luserna, il commissario politico era comunista perché le zone erano abbastanza ben distribuite: in Val Luserna comunisti, in Val Pellice il Partito di Azione e in Val Chisone gli autonomi badogliani tricolore.
Nelle nostre giornate gli incarichi erano distribuiti e Vittorio non aveva più da fare molto, perché sapeva che ognuno faceva ciò che doveva fare. Il sottoscritto, nome di battaglia Edo, ha mangiato tanta di quella guardia… sia perché godevo della fiducia di colui che mi sta accanto, sia perché avevo gli occhi un po’ di lince… Facevo la guardia con la massima attenzione perché sapevo che nelle mie mani avevo in quel momento la vita dei miei compagni: una cosa molto, molto delicata.
In più facevo l’aiuto cuoco e qualche volta impastavo il pane; sapevo mungere le mucche e falciare il fieno, battere la segala ancora con i bastoni… forse voi non avete assolutamente la cognizione di cosa siano ‘le cavaglie’.
Vittorio è stato un comandante tremendamente severo e ha fatto bene. Vi faccio questo esempio: il 1 aprile 1945, è Pasqua. Eravamo a tavola: c’era il comandante Di Nanni, Riccardo Di Nanni, il commissario e cominciamo a mangiare. Siamo riusciti ad avere un po’ di salame e un po’ di prosciutto come antipasto, preceduto da un bicchiere di vermut… Apro una parentesi: quel vermut l’avevamo portato 20 giorni prima alla base e c’era l’ordine tassativo di non toccarlo. E’ servito per Pasqua… si vede che Vittorio già ci aveva pensato…
Poi abbiamo mangiato pastasciutta abbondante col parmigiano – avevamo il parmigiano ed ero io che l’avevo in custodia… Dopo avevamo le cotolette accompagnate da patate fritte e da un po’ di legumi… un po’ di verdura che, pensate, noi cambiavamo con un chilo di riso: perché di riso ne avevamo, ma di verdura no… Anche per evitare lo scorbuto… E poi un po’ di frutta.
Allora il comandante dice: “I casi sono due per avere un pranzo simile: o siete dei camorristi o siete oculati.” Rispondo: “Caro Di Nanni, siamo oculati! Abbiamo qua il cerbero Vittorio che fa il suo dovere e quindi riusciamo a farlo anche noi”.
Facevamo qualche azione di disturbo ai tedeschi, qualche sparatoria sulla caserma dalla Rocca Budet, dalla base di Triboletto, sopra la Gianavella, luogo storico di grande interesse; scaramucce, il saperci salvare dai rastrellamenti, la battaglia di Pontevecchio il 21 marzo 1944… Posso dire: “C’ero anch’io!”
Abbiamo avuto 24 prigionieri o più, alcuni dei quali han perso la vita, altri sono andati a finire nei lager, nei campi di concentramento e di sterminio perché politici; abbiamo avuto altre puntate, ricordo la puntata di settembre; ricordo la puntata di novembre; la puntata dei giorni antecedenti la Liberazione, il 21 aprile, quando è stato ferito il nostro amico Piero, studente in medicina, ferito da una ‘pallottola intelligente’ che è entrata tra due fasce muscolari senza toccare l’osso, tanto che ha potuto partecipare alla Liberazione di Torino.
Prima di concludere, un altro episodio… Non mi è rimasta in mente la data precisa… può essere il 14 o il 15 aprile 1945.. Mentre ero di guardia, vedo arrivare una nostra staffetta – noi avevamo staffette femminili meravigliose – che, di corsa, segue il sentierino che porta alla nostra base; di corsa avviso Vittorio che sta arrivando la staffetta di corsa e che forse è bene che ci teniamo pronti… Noi vivevamo in Triboletto in una casupola dove si mangiava, dove si giocava a carte, dove eravamo riparati, ma la sera la vuotavamo completamente per renderla come se non fosse abitata; poi facevamo un quarto d’ora di salita per raggiungere una casupola che aveva le foglie secche dove noi dormivamo e dove c’era sempre la piccola guardia esterna tutta la notte.
La staffetta dice che bisognerebbe far saltare la ferrovia perché per certo il capostazione di Torre Pellice, il bravo Gino Fasano, aveva detto di aver ricevuto un comunicato in codice dall’altro fratello capostazione a Torino, nel quale si avvertiva che i tedeschi stavano salendo con due vagoni con le bombe al fosforo per incendiare le case di Torre Pellice, soprattutto le case più esterne, non proprio quelle del concentrico.
Il nostro comandante Vittorio dice che bisogna far saltare qualche metro di binario; si presentano due volontari con delle bombe al plastico, che si può lavorare con il calore delle mani e con la matita a tempo, che è come un termometro che al tempo voluto fa la scintilla che fa deflagrare. Il piano di Vittorio: bisogna far scappare i borghesi che sono costretti di guardia dai tedeschi lungo la ferrovia; piazzare le cariche e farle brillare in modo da danneggiare i binari e scappare velocemente…
Dall’altura noi guardavamo come potevamo con il binocolo e aspettavamo con ansia… finalmente avviene la deflagrazione: 20 metri di binario saltano… i tedeschi, non più potendo salire in valle col treno, hanno tentato successivamente di farlo con due camionette, se non vado errato, il 25 o il 26 aprile del 1945, nel momento della Liberazione, ma partigiani GL e Garibaldini, con fuoco concentrico, hanno colpito una camionetta e l’hanno fatta saltare per aria: due tedeschi morti e l’altra camionetta ha fatto dietro front. Torre Pellice è stata così salva.
E’ una storia che pochi conoscono, anche se è stata una delle azioni migliori che abbiamo potuto compiere, perché abbiamo dato veramente noia a questi nostri nemici tedeschi che a volte erano più comprensivi e meno crudeli di quegli esaltati fascisti della Muti, della Vittorio o di altre divisioni…
Abbiamo anche avuto i lanci, li aspettavamo … Bisognava mettere i fuochi, avere le cataste pronte; come si sentiva l’apparecchio arrivare, bisognava incendiare con un po’ di benzina; i fuochi dovevano essere disposti ad L. Quando l’apparecchio arrivava, di solito c’era il radio trasmettitore che… toc, toc,… con l’alfabeto morse segnalava, e allora lanciavano… A quel punto bisognava fare attenzione che non arrivasse un bidone sulla testa, perché sarebbe stata ‘una bidonata’ sul serio! Era più di un quintale, malgrado i paracadute. D’inverno con la neve, i paracadute erano o celesti o rossi o verdi o gialli; d’estate, erano bianchi, per vederli nel verde della Valle. Erano di seta e andavano… Uuh… le donne, le nostre staffette… quando avevamo dei pezzi glieli regalavamo e ne facevano camicette o altro capo di vestiario…

Rostan
Gli alleati mandavano dei lanci soprattutto ai GL, agli autonomi… Ai garibaldini, che erano comunisti… E lì è cominciata la grana… E’ nato dell’astio… Ci siamo presi anche a fucilate… Astio politico già allora… Ho sempre predicato che siamo partigiani e basta. Ognuno può avere le sue idee, però siamo partigiani. Invece no: ci doveva essere la politica di mezzo ed è stato così anche a Liberazione avvenuta. Abbiamo avuto pochissimi giorni per sbaraccare: fare i fogli notizie, prendere 10000 lire più il pacco vestiario… Cascame autarchico… E poi..: vai, che sei solo. Arrangiati: se trovi lavoro, bene; se non lo trovi, pazienza!

Paschetto
D’accordo, ma si possono ricavare insegnamenti dall’esperienza resistenziale, dalla guerra e dalla guerriglia…
L’augurio che facciamo, però, è che non abbiate mai da vedere un Kosovo, un Vietnam, una Corea o qualsiasi golpe o guerra civile o guerra dichiarata… Che voi possiate continuare, come hanno potuto fare le generazioni venute dal 1945 ad oggi, che sono tutto sommato i vostri genitori: son vissuti in un periodo non d’oro, perché la politica è sempre stata un po’ una cosa ambigua e, soprattutto anche un po’ disonesta.
Tuttavia dobbiamo riconoscere che i governi che si sono succeduti sono stati abbastanza oculati da non lasciarsi intrappolare in una nuova guerra. Ultimamente magari per il Kosovo… se è guerra una missione di pace, allora viva i nostri alpini o bersaglieri che hanno portato un aiuto umanitario… Su quel punto di vista lì siamo d’accordo, ma che voi non abbiate a vederlo…
E’ un altro mondo, una cosa difficile da spiegare , un’atmosfera particolare… E’ un’esperienza che porteremo alla tomba, se non si perderà la memoria.
Che voi non abbiate a vedere queste cose.
La nostra ultima base è stato il Becus, da dove andavano a Rorà a prendere il latte tre o quattro volte la settimana. In questa nostra postazione, abbiamo tenuto fino a trenta prigionieri tedeschi, portatici dai compagni con una marcia faticosa da Airali. Tra loro c’era un capitano, bellissimo uomo, musicista, che sulle mostrine portava la chiave di sol. Io gli dico: “Musik, mein capitein?”, per allentare la tensione. E lui risponde: “Ja, ja, musik!”
C’era un altoaltesino che ci faceva un po’ da interprete. Penso che abbiano sete a causa della marcia per arrivare al Becus. Allora chiedo ad uno dei compagni di portare un secchio di acqua pulita, un bicchiere e il gavettino. Con le due o tre parole di tedesco che conoscevo gli dico cordialmente: ‘Trinken wasser?’. Il capitano guarda l’acqua, ma non risponde, né ‘ja’, né ‘nein’… allora capisco… Prendo il gavettino d’acqua e glù, glù, glù,… Sorridente e riconoscente allora beve. Aveva paura di essere avvelenato. Allora dico al nostro interprete altoaltesino di riferire al capitano che noi siamo l’Italia migliore, che siamo chiamati ‘banditi’, ma nel senso di ‘banditi dalla società’, però siamo onesti.
La stessa cosa capita quando arriva una cotoletta di carne per cibo: mi faccio dare un’altra forchetta e il coltello, prendo un pezzetto di carne e lo mangio; prendo il pane e ne mangio un boccone e poi aggiungo: “Guten apetit!”. E’ stato un minimo gesto di umanità da parte nostra, che però ha messo in evidenza anche l’umanità del nemico. Come l’altro nemico, un viennese, che dopo aver detto: ‘Ich Viener… Sono viennese’, si è messo a suonare O sole mio…

Rostan
Avevamo anche dei tedeschi che sono passati dalla nostra parte. Uno l’abbiamo lasciato molto di servizio di guardia … Non si è mosso, non si è mosso. Un altro, Karl, ci istruiva al combattimento…

Paschetto
Avevamo molto da imparare… Non c’era nonnismo, però qualche scherzo c’era.
Ricordo un episodio, quando sono arrivato al Bric, con 5 compagni, per entrare in banda. Alla base c’era un vano ad arco nel muro ed era pieno di scatolette vuote di roba da mangiare. Il bravo comandante del Bric, di cui poi vi dirò, si scusa, ma ci informa che dovevamo ripulire quel vano, togliendo con la carriola le scatolette e andandole a seppellire in un buco del terreno, per prendere della paglia e una tendina e poter dormire in quel vano.
Era il mese di febbraio, c’era un bel po’ di neve… noi facciamo la pulizia, proprio a modo, poi chiediamo dove avremmo potuto trovare la paglia. A quel punto il comandante ci risponde che avremmo dormito dentro, con loro.. Non sapevamo come fare a pulire, così…
Era il nipote di Togliatti, Franco Montagnano, nome di battaglia Marco: in qualche modo si riusciva a scherzare anche al Bric.

Rostan
Poi avevamo Tota, personaggio bellissimo.

Paschetto
Tota era il suo nome di battaglia. Il suo primo era Pulcinella e ha visto cadere nel rastrellamento a marzo, nella battaglia di Pontevecchio, i suoi nove compagni e quindi anche Ulisse, che è stato buttato giù dalla roccia… lui per due giorni non l’hanno visto. Gli ha dato di volta il cervello. Gli capitava una cosa strana, stranissima: si addormentava e diventava sonnambulo, solo che cominciava a essere pericoloso, perché se era vicino all’arma, vedeva tedeschi dappertutto… e ci faceva cantare una canzone, nella quale se diceva “parpaiun” bisognava rispondere “farfala” e se diceva “farfala” bisognava rispondergli ‘parpaiun’ per non farlo arrabbiare.
Una volta uno dei nostri l’ha fatto correre, mentre era in crisi di sonnambulismo, poi gli ha aperto la porta: è saltato giù, pioveva ed era bagnato e si è svegliato di colpo nell’acqua. Allora boom… come svenuto…
Lo disarmavamo completamente, perché lui sparava…… Era una staffetta in gamba. Ebbene l’ho visto guarito, Lavasiero Carlo, appuntato della polizia ferroviaria e l’ho trovato a Milano. Stavo prendendo il treno per tornare a Torre Pellice con moglie e figlio, passando dico a mia moglie che mi sembra di aver visto Tota… Allora gli passo vicino e lo chiamo con il suo nome di battaglia. Era proprio lui. Era comunista, ma dice che viaggiando è diventato democristiano e sì… perché era guarito, e visto che il buon Dio gli aveva fatto la grazia, lui aveva troncato con il comunismo.

[fine]