Francesco Pallante: Presentazione del libro “Spezzare l’Italia. Le regioni come minaccia all’unità del Paese”
Torre Pellice 6 settembre 2024, Galleria Scroppo, ore 17,30.

Conferenza tenuta nell’ambito delle iniziative promosse dal Comitato Val Pellice per la difesa dei valori della Resistenza e della Costituzione repubblicana in occasione dell’81° anniversario dell’8 Settembre.

(Trascritto da TurboScribe.ai, revisionato da anpivalpellice.it)

[…]

Il nostro è uno Stato regionale. C’è una appassionante discussione, ed anche appassionata discussione in Assemblea Costituente: si confrontano le parti e inizialmente le sinistre sono un po’ più restie all’idea del regionalismo, vorrebbero più rifarsi al modello dello Stato centrale.

Perché i modelli teorici in quel momento erano due, da una parte il modello dello Stato centrale, centralizzato, secondo un modello napoleonico francese, le prefetture, le intendenze che dal centro governano il territorio, e dall’altra il modello tedesco, il modello americano, lo Stato federale, che invece ha una storia diversa di rapporti tra territori più autonomi, dotati di maggiori poteri.

Negli Stati Uniti era esasperato, in Germania un po’ meno ma comunque era molto significativo, con un’organizzazione dello Stato centrale che rispecchia questi poteri regionali, ci sono degli equilibri, dei contrappesi, dei momenti di sintesi a livello centrale, che fanno sì che le regioni non possano agire solo come forze centrifughe o di Stati federati, lander in tedesco, ma abbiamo dei momenti in cui invece la loro azione viene ricondotta ad unità all’interno di organi statali in cui loro sono rappresentati.

Il caso tedesco è forse il più evidente, perché c’è una delle parti del Parlamento, il loro Senato in qualche modo, che è composto non da eletti dei cittadini, ma direttamente dai rappresentanti dei singoli governi regionali, e quindi una struttura istituzionale diversa.

In Italia sulla Costituzione si discute di questo tema, piace molto soprattutto alla Democrazia Cristiana, c’è una tradizione cattolica che è legata alla valorizzazione dei territori. Il Partito Popolare, prima del fascismo, aveva fatto delle proposte in tal senso, e effettivamente l’idea è di creare una sorta di via di mezzo tra i due modelli. Le regioni non hanno tutti i poteri che hanno gli stati federati o i lander tedeschi, ma non è neanche uno Stato centralizzato, secondo il modello francese.

Lo Stato ha i poteri legislativi come regola centrale, mentre alle regioni sono attribuiti determinati poteri legislativi e amministrativi che sono elencati in determinate materie; elencati puntualmente, nell’articolo 117 della Costituzione.

Questo compromesso, che non vede prevalere i democristiani sulle sinistre perché il progetto democristiano era più regionalista ancora di quanto non sia poi in Costituzione, riceve attuazione molto tardi. Le regioni nascono nel 1970, ed è allora che viene avviato progressivamente un procedimento di decentramento dei poteri che porta questi enti a nascere.

Ad un punto i democristiani non vogliono più perché hanno paura che in certi territori possano vincere comunisti e socialisti, come poi accadrà inizialmente nelle tre regioni dell’Italia centrale e poi successivamente anche in altre regioni. Invece socialisti e comunisti spingono per questa attuazione, la riescono a ottenere e c’è, io forse dedico poche pagine al libro a questa vicenda, ma c’è una storia interessante che molti di voi ricorderanno, in cui, diciamo dai territori si sviluppano delle proposte politiche, c’è una vitalità politica che è più vivace rispetto a quella dello Stato.

Lo Stato ha una sua struttura più rigida, i territori in alcune zone del paese riescono a mettere in moto alcune dinamiche più attente alle esigenze che montano da una società in trasformazione.

Le esperienze comunali, gli asili nido e le scuole materne comunali, le USL, le unità sanitarie locali che hanno come organo di gestione i consigli comunali o rappresentanti dei consigli comunali, che diventano in alcune regioni tipo la nostra unità socio-sanitarie locali, cioè acquisiscono competenze che altrimenti sarebbero state dei comuni ma che vengono esercitate insieme.

Le regioni favoriscono queste dinamiche, si sviluppano anche in altri ambienti: i trasporti, l’istruzione, l’agricoltura… Nascono i comprensori che in qualche misura scardinano, sembra che possano scardinare l’assetto rigido degli enti territoriali, le regioni, le province i comuni. In alcuni ambiti questi comprensori diventano delle specie di quarto ente territoriale, in altri diventano gli strumenti d’azione delle regioni e degli enti locali, ma in ogni caso c’è la capacità di questi enti di agire non al fine di aumentare i propri poteri ma di porre in essere delle politiche che aiutino in maniera più incisiva ad andare nella direzione indicata dalla Costituzione, lo Stato non riesce a farlo fino in fondo, che è quella del pieno sviluppo della persona umana, della partecipazione di tutti alla vita politica, economica e sociale del Paese, come recita l’articolo 3 comma 2 della Costituzione.

Questa fase poi si spegne, si istituzionalizza e subisce soprattutto delle nuove pressioni con la nascita di una forza politica che è molto vecchia in realtà molto più vecchia di quanto noi solitamente immaginiamo o ci figuriamo, cioè quando nascono le leghe,
la Liga Veneta, la Lega Lombarda, l’Union Piemunteisa…

Queste diverse forze poi si federano; nascono sul finire degli anni Settanta, crescono negli anni Ottanta, fanno il congresso fondativo nel ’91, nel ’94 a Bologna fanno il loro secondo congresso, cioè il congresso della Lega Nord in cui, diciamo, la forza di questo partito si mostra in tutta la sua capacità di condizionare la politica nazionale.

Per scrivere il libro l’estate scorsa, a Prali, nella mia casetta su a Prali, mi sono collegato a Radio Radicale dove ci sono tutti i congressi registrati di tutti i partiti, è una bella risorsa, e mi sono ascoltato il congresso di Bologna della Lega Nord nel 1994, mi sono fatto un po’ del male, diciamo.

È la verità…! Soprattutto quando intervengono figure come quella di Gianfranco Miglio. Vi ricordate? Il professore, lo chiamavano il Profesùr, lui era il professore ed era l’ideologo della Lega; una figura strana, curiosa, perché era uno studioso molto raffinato della storia delle istituzioni politiche, preside della facoltà di Scienze Politiche della Cattolica per 30 anni, una figura riconosciuta nella sua dimensione intellettuale. Ebbene, a questo congresso prende la parola e dice: voi lo sapete, tutti coloro che hanno un animale domestico lo sanno, se a un certo punto i parassiti contagiano l’animale domestico e si moltiplicano, se superano una certa soglia l’animale sta male. È la situazione in cui siamo noi, perché la società italiana è stata colpita dai parassiti che sono i meridionali che si fanno mantenere dal nord e stanno ammazzando noi, il nord produttivo che produciamo ricchezza e denaro e ce lo vediamo succhiare proprio come le zecche, i parassiti succhiano il sangue dalla bestia.

Ovviamente c’è l’ovazione del pubblico, e fa impressione, perché il linguaggio dei nazisti nei confronti degli ebrei è questo.

La cosa che effettivamente colpisce è che in quegli anni questi discorsi iniziano a diffondersi nel dibattito pubblico; e uno dei primi che reagisce a questa proposizione della Lega, ancora prima del 1994, è Bettino Craxi, che riunisce lo stato maggiore del suo partito a Pontida, in casa della Lega, e propone che cosa? Propone il presidenzialismo a elezione diretta del capo e propone delle cose di cui si discute oggi. Spera in questo modo di togliere argomenti alla Lega ma il tema inizia a circolare e viene ripreso da tutta una serie di studiosi che iniziano a teorizzare la questione settentrionale non più come questione regionale come ad un tempo e come fin da l’unità d’Italia si era discussa, ma la questione settentrionale con una sfumatura diversa: non è più una grande questione nazionale, il problema dell’Italia intera, il fatto che il sud fosse così in ritardo rispetto al nord. La questione settentrionale è una questione territoriale, cioè non più un problema dell’Italia, ma un problema che il settentrione deve risolvere da sé. Infatti Miglio propone di creare tre regioni, tre macro regioni: la Padania, l’Etruria e il Mezzogiorno.

Il tema viene di nuovo ripreso quando un accordo del 1996 dà vita alla Commissione Bicamerale di Massimo D’Alema, nel 1997. Di che cosa si discute? Di semipresidenzialismo, di regionalismo e di riforma della giustizia, cioè i tre temi che noi oggi abbiamo sul tavolo.

Di tutt’e tre le riforme che erano state portate molto avanti, quella che viene effettivamente ripresa è quella delle regioni; viene accantonato il presidenzialismo, viene accantonata la giustizia, e quello che si fa è provare a introdurre, e si riuscirà, a introdurre un modello in cui si ribalta il principio fondamentale che era stato scritto nella Costituzione, cioè la Costituzione diceva, ricordavo prima, tutti i poteri sono dello Stato, salvo quelli attribuiti puntualmente alle regioni; il principio viene ribaltato, tutti i poteri sono delle regioni salvo quelli espressamente attribuiti allo Stato.

È concettualmente un bel salto che viene addirittura anticipato, la Costituzione ci vuole un po’ di tempo per cambiarla, ma viene subito fatta una legge che dice: iniziamo a farlo non per i poteri legislativi ma per i poteri amministrativi, diamo tutti i poteri amministrativi alle regioni salvo ciò che lasciamo esplicitamente in mano allo Stato.

Questa legge è la legge di, ricordate?, Bassanini, che dirà: abbiamo fatto il federalismo a Costituzione invariata. Non è tanto una cosa bella di cui vantarsi, cioè abbiamo forzato le mani per spingere la Costituzione laddove la Costituzione non avrebbe voluto che si arrivasse.

Dopodiché si fa la riforma del Titolo V e si dirà: l’abbiamo fatta per dare copertura costituzionale alla legge. In maniera spregiudicata si pone il fatto compiuto e si farà questa riforma della Costituzione negli ultimi minuti della legislatura: la si approva in quarta votazione la mattina e il pomeriggio il Presidente Ciampi scioglierà le camere per andare al voto, le elezioni del 2001 in cui vincerà la destra, il Presidente Berlusconi e i suoi partiti alleati.

Quindi anche in questo caso l’operazione non riesce, cioè come Bettino Craxi non era riuscito a togliere l’acqua in cui navigava la Lega, allo stesso modo lui non riesce a fare questa operazione, la Lega e la destra vanno comunque di nuovo al governo, e ciò che impressiona è il fatto che per la prima volta una riforma costituzionale viene fatta dalla sola maggioranza, viene approvata per sei voti, la Lega si permette il lusso di votare contro […].

E quindi la Costituzione viene cambiata, ha questo schema che vi dicevo prima, tutti i poteri alle regioni salvo quelli delegati espressamente allo Stato

E in più si introduce l’autonomia regionale differenziata, che non c’era nel 1948: viene inserita nel comma 3 dell’articolo 116 della Costituzione la possibilità per le regioni di chiedere ulteriori competenze, cioè diciamo di sottrarre quelle competenze attribuite allo Stato. Sono competenze in 23 materie e queste 23 materie sono 23 materie davvero importanti perché c’è la salute, c’è l’istruzione… Sulla salute nelle regioni abbiamo già molto, ma c’è l’istruzione, c’è il lavoro, c’è la giustizia erogata dai giudici di pace, c’è la previdenza, c’è l’università, c’è la ricerca scientifica poi ci sono tutta una serie di materie che hanno a che fare con i diritti costituzionali, e ci sono materie che hanno a che fare con il territorio. Significa il paesaggio, i territori culturali, gli ambienti, i fiumi, le bonifiche. Significa anche le infrastrutture, cioè, le strade, le autostrade, le ferrovie, i porti, gli aeroporti, significa le acque, i fiumi, l’aria. Significa l’urbanistica, l’edilizia…

C’è poi un terzo gruppo di materie che ha a che fare con questioni di carattere economico: le politiche industriali, le politiche di impresa, il commercio, l’artigianato, le cooperative, le grandi reti di trasporto, l’energia, la produzione, la distribuzione dell’energia di trasporto, la distribuzione dell’energia sul territorio regionale. E le banche di credito locale, le casse di risparmio di carattere regionale. Insomma, tutta una serie di competenze di carattere economico.

E un quarto settore che è il rapporto con gli enti locali. Cioè, queste regioni potrebbero ridefinire l’organizzazione degli enti locali, la caratterizzazione dei comuni, delle province, delle città e attribuire le funzioni che aspettano a questi enti. Poi magari su alcune cose possiamo dire qualcosa di più preciso.

Allora, le regioni, secondo l’articolo 116 comma 3, dopo il 2001, possono richiedere queste competenze.

Ora, le richieste che le regioni possono fare, fino a che punto si possono spingere? Già nel 2001 un costituzionalista, il più importante costituzionalista del tempo, Leopoldo Elia, disse attenzione, questo meccanismo è un meccanismo molto delicato. Perché? Perché se tutte le regioni, nn parliamo delle regioni speciali, le regioni speciali hanno regole che hanno solo loro e hanno già gran parte di queste regole. Diceva Leopoldo Elia, se tutte le regioni chiedono tutte queste materie e le ottengono, a quel punto noi che cosa avremmo fatto? Il titolo della Costituzione che elenca le competenze dello Stato, sarebbe stato riscritto, e quindi per fare questo, se lo si vuole fare, ci vuole una legge costituzionale, perché solo le leggi costituzionali possono cambiare il contenuto della Costituzione o incidere sul contenuto della Costituzione.

E invece che cosa prevede l’articolo 116 comma 3? Prevede che la regione faccia una richiesta allo Stato, lo Stato dice cosa è disposto a dare, e a quel punto il Parlamento fa una legge ordinaria con cui recepisce l’intesa e attribuisce queste competenze alla regione.

Quindi Leopoldo Elia dice: attenzione perché noi stiamo consentendo a una legge ordinaria di scardinare l’impianto costituzionale.

[…]

Elia, che aveva partecipato ai lavori in Commissione, diceva: è stato costruito un meccanismo tale per cui effettivamente rischiamo di scardinare i fondamentali dei diritti costituzionali.

Qui la situazione si fa davvero delicata. Se io dico sanità, che cosa sto dicendo? Beh, sto dicendo molte cose, sto dicendo l’organizzazione del servizio sanitario regionale nel suo complesso, ma sto dicendo anche gli enti che lo costituiscono, l’organizzazione interna di ognuno di questi singoli enti, il rapporto di lavoro del personale, i medici, gli infermieri, il personale tecnico-amministrativo, gli O.S…; sto parlando dei farmaci, della distribuzione dei farmaci, ma ancora prima dell’equivalenza terapeutica dei farmaci, sto parlando della compartecipazione alla spesa da parte dei cittadini, sto parlando del privato, del rapporto col privato, dell’inquinamento, dell’industria farmaceutica… Insomma, ognuna di queste materie si articola in una serie di funzioni e le regioni possono chiedere tutte o alcune delle funzioni inerenti a tutte o alcune tra le materie di cui stiamo parlando.

Questo che cosa significa? Significa che nel complesso, questa è una ricognizione che ha fatto il ministero per gli affari regionali sotto la guida dell’attuale ministro Calderoli, le regioni possono richiedere 500 funzioni nel complesso, ma se anche solo una regione non richiede una funzione, quel compito sul territorio di una regione che non lo richiede dovrà continuare ad essere esercitato dallo Stato, e quindi poiché c’è la possibilità che ogni regione chieda cose diverse da tutte le altre alla fine noi non avremmo una situazione in cui l’operazione avviene a costo zero perché lo Stato si spoglia delle strutture amministrative e affida il compito alle regioni; no, lo Stato deve mantenere le sue strutture amministrative per intervenire in quelle regioni che non hanno richiesto queste cose, e le regioni produrranno a loro volta le nuove strutture amministrative per esercitare le competenze che avevano richiesto quindi ci sarà una duplicazione.

Quando si discuteva dell’approvazione di questa legge, sono intervenuti in Parlamento l’Ufficio parlamentare di bilancio, la Banca d’Italia e la Commissione Europea e tutti hanno detto: guardate che tutta questa operazione comporta un aumento dei costi, una complicazione burocratica, e quindi il rischio di inefficienza è più grande; che si accompagni a un incremento dei costi, gli economisti dell’Ufficio parlamentare di bilancio l’hanno mostrato, hanno fatto un lavoro molto preciso, questa operazione fa saltare l’economia di scala […].

E dunque come si pagherà questa operazione?

Quello che dice in questo caso la Commissione Europea e anche la Banca d’Italia, non sto facendo riferimento a centrali di pensiero che si ispirano al bolscevismo, ciò che dicono queste istituzioni è che le regioni che per prime riusciranno a ottenere queste nuove competenze e le risorse necessarie a esercitarle, lasceranno senza risorse le altre; senza risorse non soltanto per chiedere l’autonomia regionale ma senza risorse per esercitare le competenze che attualmente dovrebbero esercitare e in parte già esercitano.

Perché qui si introduce una seconda questione, quella dei livelli essenziali delle prestazioni. La legge di Calderoli dice: no, noi garantiamo l’uguaglianza perché stabiliamo nelle varie materie i livelli essenziali delle prestazioni, i LEP, che devono essere garantiti in tutte le regioni in maniera uniforme in maniera tale che non ci siano disuguaglianze, la differenziazione va soltanto oltre.

Peccato che questa operazione, in un termine peraltro molto breve di due anni, di nuovo è previsto che avvenga a costo zero, quindi anche se ne saranno definiti questi metri non ci sarà la possibilità di finanziare laddove già oggi sono ben finanziati, cioè nel sud del paese.

Qui ho fatto qualche calcolo: mi rifaccio a quelli dello Svimez che è un centro studi che si occupa di sviluppo del Mezzogiorno. Lo Svimez dice: se volessimo portare il sud ai livelli del nord in tutti gli anni che sono presi in considerazione per l’autonomismo differenziato, dovremmo investire ogni anno nel sud una cifra che varia tra gli 80 e i 100 miliardi di euro, quindi aumentare la spesa pubblica dello Stato di 80-100 miliardi di euro e spendere tutto al sud. Ma questo ovviamente richiederebbe di aumentare l’entrata dello Stato ma, a parte che la legge Calderoli promette che tutto questo avvenga a finanza invariata, aumentare l’entrata dello Stato si può fare soltanto aumentando le tasse, combattendo l’evasione fiscale, o facendo debito; quindi anziché portare il sud a livello del nord, finiremmo con l’abbassare il nord per alzare un po’ il sud.

[…] È stata costituita una commissione, alla cui guida è stato posto Sabino Cassese, che ha iniziato questo lavoro. Sapendo che non ci sarebbero stati soldi, ha semplicemente individuato dei criteri, dei criteri organizzativi. Per esempio ha detto: un LEP nell’ambito del diritto al lavoro è che ci sia un centro per l’impiego, un LEP della salute è che ci sia un ospedale… Il punto è se l’ospedale è proprio una stazione di cura, se il centro per l’impiego dà un posto di lavoro a chi non ce l’ha…, invece la commissione ha individuato solo dei criteri organizzativi.

Un membro di questa commissione, l’ex governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, ha scritto una lettera alla commissione dicendo che il lavoro della commissione è totalmente inutile perché è impossibile calcolare il costo di una prestazione, quindi noi non possiamo sapere quanto costerà fare quella funzione nella regione, allora tutta questa è un’operazione che favorirà chi arriva prima.

E chi arriva prima? Quelli che sono partiti prima: il Veneto, la Lombardia e l’Emilia Romagna sotto la presidenza di Bonaccini.

Il Veneto molto provocatoriamente: Zaia si è espresso con toni esplicitamente secessionisti nel centocinquantesimo anniversario del plebiscito che aveva sancito l’unità del Veneto al Regno d’Italia, ha lavato l’onta, diciamo. La Lombardia è andata a ruota. Le cose cambiano molto quando si dice l’Emilia Romagna, che è governata dal Partito Democratico, il che dà una dimensione trasversale.

Tutte e tre le regioni, a tre giorni dalle elezioni, piace fare queste cose sempre all’ultimo minuto, a tre giorni dalle elezioni le riceve il presidente del Consiglio e firma un accordo che apre le trattative per fare un’intesa che dovrà poi giungere al recepimento della legge. Quello che succede è che un governo che peraltro era dimissionario e avrebbe dovuto gestire solo le ordinarie amministrazioni invece fa una scelta politica pesantissima e nessuno sa niente.

Fino a che un sito che peraltro si occupa di ricerca scientifica non di queste cose, si chiama ROARS, riceve, non so come… una fuga di notizie, riceve le bozze delle intese con le richieste regionali e diciamo ciò che lo Stato è disposto ad accordare alle regioni e viene fuori che le regioni chiedono praticamente tutto quello che può essere richiesto.

Il Veneto chiede la ricerca, la Lombardia chiede i laghi e i fiumi, cioè le principali risorse idriche del paese, l’Emilia Romagna vuole fare un circuito scolastico parallelo alla scuola pubblica statale… Vogliono acquisire i musei, ridefinire i poteri che hanno gli enti locali sul proprio territorio, il governo del sistema di trasporti, appropriarsi delle infrastrutture che sono state costruite con fiscalità generale, pagate da tutti; vogliono poter assumere i cancellieri per i giudici di pace, ridefinire la distribuzione territoriale, insomma tutto quello che vi dicevo prima.

L’economista Floriana Cerniglia della Cattolica di Milano ha calcolato che tolta la spesa previdenziale e quella per la sicurezza militare, a livello economico praticamente tutta la spesa pubblica in quelle regioni passerebbe di capo. Una quantità di risorse enorme, che porrebbe tutte le altre regioni di fronte al fatto compiuto.

Quello che sappiamo di questa trattativa è che la fuga di notizie è del febbraio e del maggio del 2019 durante il governo Conte II, e che durante il governo Conte III si pone un freno a tutto questo. Non sappiamo se si sia tornati indietro ma la situazione è sicuramente congelata.

La situazione riparte con grande enfasi invece con i governi intervenuti. Si fa questa operazione: facciamo una legge che definisca meglio le procedure attraverso cui poter poi dare queste competenze alle regioni, la si approva e così l’approvazione della legge esclude il Parlamento. La legge Calderoli è dunque una legge che pone le condizioni, cioè che stabilisce le procedure attraverso cui fare le trattative tra le regioni e lo Stato per poi fare le intese, e quindi una legge per ogni regione che recepisca quell’intesa; con una piccola clausola che dice che le trattative fatte sono salve.

Adesso ho visto delle dichiarazioni molto interessanti del candidato del Partito Democratico alle elezioni perché sapete quando Bonaccini è diventato parlamentare europeo, si è dimesso da presidente dell’Emilia Romagna, e il nuovo candidato De Pascale dice: dobbiamo fare autocritica, anche io, quando sono partito con Bonaccini non dissi nulla e invece avrei dovuto farlo; e anzi dovremmo fare marcia indietro da quanto è stato fatto fino a questo momento.

Nel frattempo il Piemonte ha fatto delle richieste, Cirio integra una prima richiesta che era stata fatta da Chiamparino quindi le prime richieste dell’economia differenziata in Piemonte le ha fatte Chiamparino e Cirio estende queste richieste. Allora, queste quattro regioni sono quelle che in questo momento potrebbero ottenere queste competenze senza che siano stati definiti i costi, e dunque diciamo c’è il rischio che il fatto si compia ai danni di tutto il resto del paese e forse anche ai danni delle regioni del nord.

[…]

Per il momento mi fermerei qui. Grazie.

 

Francesco Pallante, Spezzare l’Italia. Le regioni come minaccia all’unità del Paese, Giulio Einaudi editore, Torino 2024, pp. 144, € 13,00 eBook € 5,99

Qui un estratto.