A Giulio piace raccontare le vicende di cui è stato testimone o protagonista. Non per spocchia, ma perché sente che il ricordo di quelle vicende non gli appartiene in via esclusiva, che è una sorta di patrimonio collettivo classificabile sotto il titolo di “Valori del nostro vivere civile”. Ed è convinto che questo ricordo non debba andare perduto.
Giulio è fortunato: a 99 anni la memoria lo assiste ancora perfettamente, il ricordo di quelle vicende riemerge vivido non appena lo solleciti.
E così non stupisce che una semplice domanda sulle circostanze della morte di Mario Bertolino, partigiano della squadra di Bricherasio sotto il comando di Meo De Maria, il 19 gennaio del 1945, inneschi in lui una sorta di riflesso condizionato che gli fa cominciare il racconto di tutto quel che ne sa.
E torna giovane, quando racconta è come se rivivesse quelle vicende.
Trascrizione (Trascritto da TurboScribe.ai revisionato da anpivalpellice.it)
Il giorno che è morto Mario noi a Pralafera… De Maria [comandante], Nuciu [Stefano] Melli, vicecomandante della squadra di Bricherasio e il sottoscritto; Piero Barolin e mi pare Gianni Castagno, quindi eravamo in cinque in una macchina, una Ardea, su una Lancia comunque, a Pralafera, fabbrica.
Quando siamo sbucati sulla provinciale, c’era neve a tutti i lati della strada, perché era inverno e allora nevicava, c’era neve ai lati della strada. Quando abbiamo svoltato a destra, non so più se guidava Meo o se guidava Melli, forse guidava Melli, questo non mi ricordo bene ma credo che guidasse Nuciu, perché era bravo come autista Nuciu.
Come svolta nella provinciale, imbocchiamo facciamo 20 metri di strada provinciale, vediamo un camion che supera il passaggio a livello. E spuntare i mitra, spuntare delle armi. L’autista nostro e l’autista del camion hanno continuato la strada.
Il nostro autista ha avuto la presenza di spirito di andare contro il camion e sterzare. L’autista del camion probabilmente automaticamente ha sterzato. Io mi ricordo che i mitra hanno girato così e non hanno sparato.
In un amen, naturalmente, noi abbiamo superato il passaggio a livello, in discesa, poi pedala eh?, camminava eh?. Quando arriviamo alla curva del ponte di Bibiana, sentiamo sparare o qualcheduno ci dice che c’è stata una sparatoria e che dovevano aver ammazzato uno. Siamo riusciti a fare marcia indietro, andarci a nascondere su alla Tagliarea, lì c’era una casa di proprietà di Melli. Lì, ci siamo nascosti lì. E’ partito qualcheduno, non so più chi, e è venuto Torre Pellice, una staffetta, una donna, un uomo, non lo so, non mi ricordo, a sentire cosa era successo.
E lì è stato detto quello che era successo. E noi siamo stati fermi lì.
Alla sera, quando è stata notte, abbiamo fatto, comandante in testa, una grossa minchionata.
C’era un freddo cane. Sera significa le sette, perché a gennaio.. oscuramento totale, c’era una luna e un chiaro di luna sulla neve. E siamo andati a vedere dove era morto Bertolino.
Bertolino era nella neve e aveva un alone di scuro qua [indica l’orbita oculare]. Si vede che gli hanno sparato.
Allora cosa è successo? Poi è stato ricostruito. Bertolino era in bicicletta. Probabilmente scendeva verso Bricherasio.
Ha incrociato il camion. È stato riconosciuto da Cordola, che era un ragazzo di Bricherasio della squadra di Meo, che ha fatto il salto. Pare che l’avessero preso e è passato di lì.
Ha gridato “E’ Bertulin, è Bertulin, è Bertulin!”. Lui si butta lì, c’è una casa forse, si apre una specie di sentiero, io non sapevo, ho imparato… Si è buttato lì e ha tentato di attraversare il Pellice, e gli hanno sparato e lo han colpito nel ginocchio. Quindi è caduto e sono arrivati e l’hanno ammazzato, punto e basta.
Meo poi sapeva che… Ha avvisato sicuramente quello della distilleria, il proprietario della distilleria, che adesso mi scappa il nome [Vittorino Pegone], e noi ce ne siamo tornati in pianura.
Io in allora non facevo ancora parte della brigata Vigone, non esisteva ancora la brigata.