Valentina Pazé: Il premierato, l’involuzione della democrazia.
Torre Pellice 20 settembre 2024, Galleria Scroppo, ore 17,30.
Conferenza tenuta nell’ambito delle iniziative promosse dal Comitato Val Pellice per la difesa dei valori della Resistenza e della Costituzione repubblicana in occasione dell’81° anniversario dell’8 Settembre.
(Trascritto da Sonix.ai, revisionato da anpivalpellice.it)
Grazie a Lorenzo, grazie a tutti.
Proviamo a chiarire che cos’è questa legge di riforma costituzionale e a che punto siamo e che cosa succederà.
Allora intanto in questo caso parliamo di una riforma della Costituzione e so che voi avete fatto un incontro con Francesco Pallante. Autonomia differenziata. Quella è una legge ordinaria infatti si andrà probabilmente, ne sono sicura, al referendum. Il referendum abrogativo di una legge ordinaria che prevede tra l’altro la necessità di raggiungere un certo quorum.
Invece no stiamo parlando oggi di una riforma di legge costituzionale, un Disegno di Legge costituzionale proposto dal Governo che ha un iter lungo di approvazione. Quindi ne parliamo oggi.
Ma il probabile referendum non sappiamo quando sarà perché ci vogliono due votazioni, ciascuna camera a distanza di almeno tre mesi, ma possono essere di più, dipende. Per adesso è passata una prima versione al Senato, quindi poi a giugno 3 mesi sono passati, poi tocca alla Camera poi di nuovo il voto deve essere conforme al Senato e alla Camera, se passa con una maggioranza assoluta degli aventi diritto è possibile chiedere che l’opposizione o i cittadini o cinque Consigli regionali chiedano il referendum.
Referendum costituzionale come quello per la riforma Renzi-Boschi che molti di voi ricordano, nel 2016. In questo caso non c’è bisogno di raggiungere il quorum, conta la differenza.
Se invece passasse con due terzi, e al momento sembra molto difficile, ma mai dire mai, essere troppo certi, perché insomma, c’è un certo trasformismo nel nostro Parlamento, comunque penso che sia improbabile, se passasse con i 2/3 la Costituzione viene modificata non si va a referendum.
Osservazione preliminare su questa riforma: se noi guardiamo la relazione introduttiva del disegno di legge si dice che insomma è una piccola riforma modesta si modificano pochi articoli a confronto della Renzi-Boschi, molti di più. Qui sono solo quattro: il 59, l’ 88, il 92 e il 94.
Potremmo dire, e così ci viene detto, una riforma disegnata con lo scalpello, non con l’accetta come quella di Renzi. E vi leggo proprio le parole con cui viene introdotta questa riforma. Sono le prime parole del disegno di legge. “Dal punto di vista tecnico, la formulazione del testo è ispirata a un criterio minimale di modifica della Costituzione vigente, nella convinzione che si debba operare, per quanto possibile, in continuità con la nostra tradizione costituzionale e parlamentare e che, pertanto, gli interventi di revisione debbano limitarsi a quelli strettamente necessari al conseguimento degli obiettivi.” E poi il testo prosegue affermando che, tra le altre cose, le prerogative del Presidente della Repubblica saranno preservate al massimo grado.
L’avrete già sentito nel dibattito spesso viene chiamato in causa il Presidente della Repubblica. È vero che viene privato del suo potere? Non è vero? Adesso vediamo.
Questo modo molto minimale di presentare la riforma è truffaldino e probabilmente risponde a un’esigenza di tranquillizzare l’opinione pubblica e di allargare i consensi, di cercare consensi anche in parte dell’opposizione parlamentare. Questa riforma è vero che interviene su pochi articoli, ma bisogna vedere come interviene.
Non è una questione di quantità ma di qualità. E quindi no, c’è una rottura vera, cioè se venisse approvata, se completasse l’iter ci sveglieremmo in una Repubblica diversa, non più quella basata su una Costituzione antifascista, ma su una Costituzione che qualcuno vorrebbe afascista, ma forse può togliere quella “a”, no?.
Allora, vediamo che cosa c’è nella riforma, quali sono i suoi obiettivi dichiarati, quali sono gli obiettivi non dichiarati ma insomma sono facilmente desumibili, quali sono gli strumenti che vengono messi in campo per realizzare questi obiettivi, di modo che sia possibile formulare un giudizio su ciascuno di questi aspetti. Perché ci dobbiamo chiedere: primo, se gli obiettivi sono condivisibili, se almeno qualcuno è condivisibile, secondo, se gli strumenti che vengono invocati per raggiungere quegli obiettivi sono strumenti efficaci, se funzionano. Insomma, se la riforma promette qualcosa che è in grado di mantenere.
Dovremmo anche chiederci, questo è un discorso di fondo, se i mali che la riforma si propone di curare – perché di nuovo tutto questo preambolo di cui vi ho letto un pezzettino [parte dal presupposto] che la nostra democrazia non funziona – siano storture che vanno corrette. Se di questi mali è responsabile la Costituzione, se è colpa della Costituzione se tutta una serie di cose non funzionano e quindi la dobbiamo cambiare, oppure se alcuni di questi mali vanno addebitati ad altri soggetti, quindi vanno affrontati in un altro modo.
Gli obiettivi. Parto da quelli dichiarati appunto in questo cappello che c’è nel disegno di legge prima dell’articolato, prima della modifica degli articoli. E lo leggo, dice: “La presente proposta di revisione costituzionale ha l’obiettivo di offrire soluzione a problematiche ormai risalenti e conclamate della forma di governo italiana cioè l’instabilità dei governi, l’eterogeneità e la volatilità delle maggioranze, il ‘transfughismo’ parlamentare”.
“Al contempo – prosegue questo testo, leggo – la proposta mira a consolidare il il principio democratico, valorizzando il ruolo del corpo elettorale nella determinazione dell’indirizzo politico della Nazione, attraverso l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri e la stabilizzazione della sua carica, per dare appoggio e continuità al mandato democratico.”
Poi ci sono tante altre cose, ma fondamentalmente i due obiettivi che vengono indicati sono:
– primo: rafforzare la stabilità dei governi, evitare i cosiddetti ribaltoni. non sono termini tecnici, però ci sono, ormai si usano termini un po’ giornalistici. Insomma, la possibilità che nella stessa legislatura vi siano dei cambiamenti di governo, evitare forme di trasformismo parlamentare, il trasformismo, il passaggio da un gruppo all’altro. In questi giorni la Carfagna e la Gelmini, che erano state elette con Azione, tornano alla loro casa madre Forza Italia, o forse un altro partito, e quindi dall’opposizione passano in maggioranza; ne abbiamo avuto tantissimi di casi di trasformismo nella scorsa legislatura. Allora primo obiettivo, stabilità dei governi anche con intervento su questa forma di trasformismo;
– secondo obiettivo dichiarato: rafforzamento della democrazia, del principio democratico dando più potere ai cittadini, che non si limiteranno a eleggere i parlamentari ma sceglieranno direttamente il capo del governo. Più poteri, hanno una scelta in più, così ci dicono. E’ il modello della democrazia di investitura, questa è una formula tecnica che ha una storia e viene invocata proprio in questo preambolo, la democrazia d’investitura. Poi diciamo qualcosa su che cos’è.
Questo aspetto emergeva anche nella presentazione della riforma che aveva fatto la Meloni: ricorderete che rilasciando un’intervista, rivolgendosi direttamente ai cittadini elettori aveva detto: voi che cosa volete fare, volete contare, voi cittadini volete contare e decidere, o stare a guardare mentre i partiti decidono per voi? Quindi questo sarebbe il punto.
Allora come potrebbe essere il governo? Introducendo l’elezione diretta del Presidente del Consiglio si rafforza la democrazia? Come sapete tutti noi siamo invece una forma di governo parlamentare il Presidente del Consiglio non lo eleggiamo, eleggiamo il Parlamento. Tocca al Presidente della Repubblica, che è una figura di garanzia, dopo aver consultato i gruppi parlamentari, affidare l’incarico di formare il Governo a chi ha probabilità di ottenere la maggioranza, la fiducia.
Contestualmente, altro punto qualificante, l’elezione del Parlamento con una legge elettorale che garantisca, dice la prima versione del testo del DdL, il 55% dei seggi alle liste collegate al presidente eletto. Questa previsione è stata poi leggermente modificata nella versione di questo testo che è stata approvata al Senato. Perché è stata modificata? Perché puzza ancora tanto di incostituzionalità, anche i vari costituzionalisti consultati lo hanno detto ma già lo sapevano: un premio di maggioranza che garantisca il 55% dei seggi a chi ha preso anche solo un voto in più, anche a chi ha il 25%, non c’è nessuna storia, la Corte costituzionale si era già pronunciata su questo genere di maggioranza che è un’invenzione tutta italiana.
Vi ricorderete, abbiamo alle spalle due leggi elettorali che sono state dichiarate incostituzionali dalla Corte, il Porcellum e poi l’Italicum. L’italicum prevedeva quel 55% [e un meccanismo di ] ballottaggio al primo turno ma la Corte ha detto no.
Quindi in una ulteriore versione, quella che hanno approvato, hanno scritto testualmente: “La legge disciplina il sistema per l’elezione delle Camere e del Presidente del Consiglio, assegnando un premio su base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio.”
Qui gli interpreti si sono sbizzarriti, ma in realtà ci sono solo due interpretazioni possibili. Una maggioranza vuol dire maggioranza assoluta ma potrebbe essere anche voler dire maggioranza relativa, ma è logica questa interpretazione? Che bisogno ci sarebbe di dire che la legge elettorale deve garantire la maggioranza relativa a chi ha preso qualche voto in più, a chi ha preso il 30% rispetto a chi ha preso 25%. Non avrebbe senso questa interpretazione. Se fosse fondata questa interpretazione, ci troveremmo comunque di fronte a un Presidente eletto che ha una maggioranza relativa e che deve trovare altre forze, deve formare un governo di coalizione, eccetera eccetera. Probabilmente è la solita svista, uno svarione. Il punto è che non dicono più 55% ma pensano comunque alla maggioranza assoluta, quindi 51% anziché 55%. La distorsione rimane, la puzza di incostituzionalità rimane, e questo è il vero nodo, perché la riforma ha un impianto tale per cui funziona se viola la Costituzione, la Costituzione nei suoi principi fondamentali.
Ritorno però sui due obiettivi iniziando dal primo la stabilità da un lato e dall’altro democrazia di investitura che nell’interpretazione dei riformatori vuol dire più potere ai cittadini ma in realtà vuol dire più potere al premier. Ma iniziamo dalla stabilità: è un obiettivo condivisibile, abbiamo bisogno di più stabilità.
La stabilità è sempre e comunque un valore, la stabilità dei governi. Allora qui potremmo anche dire che un certo grado di stabilità è la condizione per l’efficacia dell’azione di governo. L’eccessiva instabilità effettivamente è un problema, ma bisogna fare attenzione perché la stabilità ha anche la sua rovescio della medaglia, la stabilità, e può andare a discapito di altri principi. Ma anche di per sé è un aspetto che ha alcune ambivalenze. Un sistema che garantisca la massima stabilità di un pessimo governo. Probabilmente non ci piacerebbe un governo che non è all’altezza delle promesse o delle aspettative, è bene possa magari durare un po’ di meno e dare luogo a un altro governo e questo è esattamente ciò che consente la forma di governo parlamentare. Una delle caratteristiche ma io direi uno dei pregi della forma di governo parlamentare è proprio la sua flessibilità, ossia il fatto che se eleggiamo un Parlamento che poi dà luogo a un governo che fa disastri, non siamo condannati a tenerci questo governo per quattro anni e cinque anni. È possibile che si apra una crisi e anche noi cittadini possiamo contribuire in qualche modo, no? E se un governo è impopolare, se ci sono manifestazioni, pressioni, queste hanno riverbero sul Parlamento. In ogni caso, è sempre possibile che un governo che si comporta male venga a cadere prima del dovuto in modo non traumatico. Il Presidente della Repubblica verifica se si forma una maggioranza e insomma ciò che sappiamo che è successo un sacco di volte.
Invece i regimi che sono per definizione stabili, sono quelli presidenziali. Il modello presidenziale è completamente diverso da quello parlamentare è un modello che nasce e si diffonde in un altro continente, l’America; l’Europa è il continente del parlamentarismo, l’America è il continente del presidenzialismo, che ha come sua caratteristica, difetto, la eccessiva rigidità, stabilità e rigidità.
Cosa vuol dire che in un sistema presidenziale viene eletto direttamente dal popolo un Presidente della Repubblica che è anche il capo dell’esecutivo? Deficiente, criminale e pazzo, è difficilissimo mandarlo via. Esistono sempre procedure tipo l’impeachment, ma sono procedure onerose, richiedono maggioranze qualificate, sono procedure traumatiche. E succede spesso che ci siano casi in cui il Presidente non è all’altezza.
In un libro che è uscito qualche tempo fa, due costituzionalisti latinoamericani che quindi conoscono bene il presidenzialismo, hanno studiato il modello degli Stati Uniti. Gli autori sono J. J. Linz e A. Valenzuela, il libro si intitola Il fallimento del presidenzialismo. Ragionando sui difetti di questo sistema con un’analisi comparata tra sistemi a democrazia parlamentare e a democrazia presidenziale [gli autori osservano] come siano molto molto più frequenti i colpi di Stato, i golpe nei sistemi presidenziali perché lì c’è una carica monocratica che ha su di sé un enorme potere e poi se lo tiene per sé e nessuno in certi casi viene mandato via in modo leggero, [ma è necesario] ricorre[re] a metodi poco ortodossi.
Pensate alla storia dell’America Latina, no? [Una volta] il nostro modo di guardare queste cose era deformato dal fatto gli Stati Uniti rappresentavano un modello virtuoso, oggi possiamo dire che non è che sia poi così virtuoso neanche il modello originario statunitense, no. Abbiamo visto l’assalto a Capitol Hill, ancora adesso Trump sostiene che non riconoscerà un voto diverso, un risultato diverso da quello che si aspetta. C’è una grande polarizzazione, una grande drammatizzazione del voto. Ma anche se non pensiamo a quel caso, per fare degli esempi che ci sono consueti, pensate a Biden, all’ultima fase, a tutte le discussioni sui suoi problemi cognitivi ed è un signore che ha un potere enorme sulle nostre vite. E alla difficoltà di essere sfiduciato Presidente degli Stati Uniti, ripeto, c’è l’impeachment ma non è così semplice… Quindi, insomma, vista da questa prospettiva la stabilità non è sempre un bene.
Ma vengo anche al secondo interrogativo: qui si promette stabilità. Davvero questa riforma garantisce la stabilità? Fino a un certo punto, perché questa riforma non è una riforma di tipo presidenziale, finora ha detto l’elezione diretta del presidente, certo quello è un elemento cardine del sistema presidenziale, ma rimane rimarrebbe nel nostro ordinamento il rapporto di fiducia che è tipico dei sistemi parlamentari. E’ ridondante che ci sia l’elezione diretta del capo dell’esecutivo da un lato e il rapporto di fiducia perché sono due forme di legittimazione popolare diverse.
Se c’è la legittimazione diretta attraverso il voto dei cittadini non c’è più bisogno del Parlamento. E invece questo strano sistema, che risulterebbe all’approvazione del disegno di legge unico al mondo, è stato detto ed è vero sarebbe una via di mezzo, un premierato che prevede per un lato appunto l’elezione diretta e un ruolo soltanto formale da parte del Presidente della Repubblica di cui si dice che nominerà il Presidente che è stato eletto.
In realtà poi il Presidente della Repubblica torna in campo nel caso di crisi, perché si prevede la possibilità di una crisi parlamentare e della perdita della maggioranza da parte di questo Presidente. In questo caso è previsto e si stabilisce che il Capo dello Stato possa dare l’incarico nel corso della legislatura, di fronte alle dimissioni del presidente eletto, a quello che viene chiamato presidente subentrante.
Quindi c’è un Presidente subentrante ma visto che non si vogliono fare ribaltoni eccetera eccetera deve far parte della stessa maggioranza che ha sostenuto il precedente premier. Il DdL diceva, può dare l’incarico a un altro parlamentare che è stato candidato in collegamento al Presidente eletto per per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha ottenuto la fiducia.
Che cosa c’è qui è spiegabile pensando alla situazione attuale. Questa cosa l’ha voluta Salvini? Mettiamo che la Meloni sia la futura presidente eletta, poi però fa qualche mossa sbagliata, perde la maggioranza. Ecco, che il subentrante sarebbe Salvini che è stato eletto insieme nella lista con la Meloni.
Questa è l’idea, con dei paradossi. Intanto questo è un elemento di instabilità francamente perché l’aspirante subentrante pensate di nuovo quel signore che ho citato potrebbe avere voglia di subentrare questo potrebbe mettersi a mettere i bastoni tra le ruote al presidente eletto [tanto più che], dice il DdL, questo presidente subentrato non potrebbe più essere spodestato da un ulteriore. Quindi dal punto di vista della stabilità…
Qui c’è un paradosso, il subentrante diventa più forte. Ecco allora la promessa di potere ai cittadini, “siete voi che decidete”, no, perché quindi c’è qualche cosa che non va, dal punto di vista proprio della logica.
Al Senato questo testo è cambiato leggermente, è stato rafforzato il potere del presidente eletto. Diciamo che dietro queste norme c’è il conflitto Meloni-Salvini, al Senato Meloni ha ripreso un pochino più in mano la cosa. E che cosa ha stabilito, tra l’altro? Va bene qui potremmo fare oggi le comiche perché poi nel frattempo ci sono state versioni di tutti i tipi, sono circolati i testi.
Uno era finito sotto le grinfie di Francesco Calabria che lo aveva commentato in modo molto divertente: un testo in cui si faceva tutta la casistica dettagliata delle possibili crisi.
Comunque questo svarione è stato tolto e si prevede una casistica ma le cose importanti quali sono? Una crisi, mettiamo che il presidente eletto si dimette perché ha posto la fiducia su un provvedimento e viene sconfessato. “Il presidente eletto dimissionario – vi leggo il testo – ha facoltà di chiedere lo scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica che lo dispone.”
Anche qui un pochino di discussione tra i costituzionalisti: ma insomma, a tener fede a queste parole il Presidente del Consiglio ha il potere di scioglimento del Parlamento, il Presidente della Repubblica lo dispone ma quando glielo chiede il Presidente del Consiglio. Questo potere di scioglimento non ce l’ha nemmeno il Presidente degli Stati Uniti, per fare paragoni non è che Biden di fronte al Congresso che, fortunatamente, dal mio punto di vista, però le cose sono cambiate, non voleva finanziare nuove armi all’uranio eccetera, lo poteva sciogliere..! Non funziona così il Presidenzialismo.
[…]
Se passasse questa versione si aumenta la stabilità ma nel senso che il Presidente eletto ha un asso nella manica, può minacciare e ricattare il Parlamento che non vuole approvare i suoi provvedimenti e lo può fare da una posizione di forza, quando pensa di ottenere un buon risultato elettorale […].
Nota a margine: stabilità, non è detto che ci sia poi più stabilità in questo modo, perché qui abbiamo il Presidente del Consiglio che può decidere sciolgo il Parlamento perché mi conviene, voglio un bagno di folla. Pensate a Salvini al tempo del Governo Conte uno quando aprì la crisi del governo – sapete, no? – lui avrebbe voluto che venisse sciolto il Parlamento ma Mattarella non lo sciolto cioè il nostro sistema prevede anche che il Presidente della Repubblica abbia un ruolo tale per cui se ci sono le condizioni perché la legislatura prosegua non viene interrotta. Interrompere la legislatura vuol dire che tutto il lavoro che hai fatto e che è rimasto nella strada viene sprecato, si ricomincia daccapo […].
Seconda nota a margine: in tutto ciò il trasformismo non è che sparisca, perché Gelmini e Carfagna potrebbero tranquillamente rafforzare la maggioranza. Come faranno? Qui il problema è che questo fenomeno, quello del trasformismo, del passaggio da un giorno all’altro, non dipende dalla forma di governo e dalla Costituzione, dipende da qualcos’altro.
Io direi in una battuta, poi magari se volete, approfondiamo: dipende dallo stato comatoso in cui versano i partiti. Che razza di partiti sono questi? Qui si entra, si esce… Sono chiuse le associazioni che sono tenute insieme dalla condivisione di valori e principi per cui si va insieme ma non è che lo risolvi attraverso una riscrittura della Costituzione. Ripensate a quelle parole “Volete contare, decidere voi o i partiti?” Ma non è che se i partiti vengono affossati decidono i cittadini, i partiti sono gli strumenti attraverso i quali i cittadini possono contare, il semplice cittadino isolato non ha nessuna capacità di incidenza di influenza, deve associarsi.
Kelsen diceva: il cittadino isolato non ha nessuna capacità di incidenza, di influenza se non si associa in partiti, [sono gli organi della formazione della volontà dello Stato] servono a questo; diversamente, l’individuo si perde nella massa, una massa manipolabile attraverso gli strumenti della propaganda.
Allora..: il modello esplicitamente evocato è quello della democrazia di investitura. Questo modello ha tutta una serie di fautori. Forse il nome più rilevante che si può fare è quello di Maurice Duverger, qualcuno che è stato studente di scienze politiche lo studia ancora. Era un politologo estimatore del presidenzialismo e semipresidenzialismo in Francia, ammiratore di De Gaulle, che accompagna con i suoi scritti il passaggio dalla 4ª alla 5ª Repubblica, sui cui difetti credo che oggi possiamo riflettere. Lui scriveva negli anni Settanta, quando esistevano i partiti di massa, pensava a leader che fossero anche capi di partito, comunque di partiti che fossero [vivi].
Questa versione invece di democrazia d’investitura..: qui c’è il capo o la capo e poi il vuoto attorno. Allora se sulla desiderabilità del bene stabilità si può discutere, […] ritengo invece che su questo tipo di democrazia si debba esprimere un giudizio negativo.
E non è affatto vero che, cito dalla relazione al DdL “questa riforma è in continuità con la nostra tradizione costituzionale”, è fondamentale. Tradizione costituzionale, costituzionalismo vuol dire teoria dei limiti dei poteri, l’articolo uno della nostra Costituzione “La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”
Questa legge e la legge elettorale che prefigura dà luogo a maggioranze gonfiate, maggioranze in Parlamento ma non nel Paese che travolgeranno tutti i limiti costituzionali perché voi sapete che gli organi di garanzia si eleggono con maggioranze qualificate, a maggioranza assoluta o a maggioranza dei 2/3. Stiamo parlando di elezione dei giudici costituzionali, di elezione diretta del CSM, di elezione del Presidente della Repubblica, di processi di revisione costituzionale. Questi limiti e vincoli, queste soglie che erano state scritte nella Costituzione del ‘48, badate bene, sono già state stravolte da ciò che è avvenuto a partire dagli anni ‘90 perché il passaggio al maggioritario nel nostro Paese senza andare a rafforzare quelle soglie, è stato veramente deleterio, e qui anche si potrebbero dire molte cose.
Però qui si va anche oltre. Perché appunto se venisse poi adottata una legge di questo tipo cambierebbero tutti i limiti.
Vediamo oggi che cosa questo può significare.
Salvini viene processato per sequestro di persona aggravato nei confronti dei migranti della “Open Arms” e il governo no. La Procura formula una accusa e il governo lo difende a spada tratta dicendo che chi governa può fare quello che vuole al di sopra delle leggi.
Allora..: la democrazia come l’abbiamo conosciuta dopo l’età dei totalitarismi, è così? Non è il potere del popolo, tutto il popolo fa quello che vuole, tutto quello che decide il popolo va bene. No: [va bene] nei limiti delle norme della Costituzione che garantiscono i diritti fondamentali delle minoranze dei più deboli.
Da questo punto di vista altro che continuità con la tradizione costituzionale! E poi si dice continuità con la tradizione parlamentare: anche qui neanche per sogno. Usciamo dal sistema parlamentare: un sistema parlamentare è un sistema che vede la centralità del Parlamento, il Parlamento come organo rappresentativo, rappresentare vuol dire rendere conto rispecchiare riflettere del suo pluralismo, quello che il corpo elettorale pensa e quali sono le diversità degli interessi delle opinioni. Una legge elettorale come quella che si vuole introdurre invece fa piazza pulita di questo, di questo pluralismo e ci restituisce, ci restituirebbe un Parlamento docile e al servizio del capo, no? Un Parlamento che non è più come dovrebbe essere, un luogo di discussione, di confronto, di mediazione, ma di ratifica delle decisioni del governo e del capo del Governo.
D’altronde abbiamo già visto all’opera questo modo di concepire il rapporto tra i poteri e il funzionamento dei vari organi. Quando, al momento dell’approvazione della legge di bilancio, l’ultima legge di bilancio, la nostra Presidente del Consiglio ha detto la maggioranza non presenterà emendamenti, divieto di presentare emendamenti. E allora che cosa fa un parlamentare a questo punto? Viene da dire diminuiamo ulteriormente il loro numero. O aboliamo il Parlamento. Serve un’appendice fedele alle richieste del premier o della premier.
Insisto sul fatto che particolarmente pericoloso sarebbe conferire il potere di scioglimento del Parlamento a questo capo del governo. Qui bisognerà vedere come verrà ulteriormente modificato nelle ulteriori letture, se prevarrà l’impostazione di Fratelli d’Italia o quella di Salvini che vuole lasciare spazio al subentrante.
E’ stata coniata una formula che poi ha avuto un certo successo, autocrazia elettiva”, per dire che non basta che ci siano le elezioni perché ci sia la democrazia, l’autocrazia può essere elettiva. C’è un altro nome, che è anche il precedente storico ciò di cui stiamo parlando: bonapartismo. Bonapartismo dei due Napoleone Bonaparte, ma soprattutto del secondo, Luigi Napoleone, il nipote di Napoleone il grande. Che era un cialtrone, era un personaggio improbabile, un bancarottiere che riesce a farsi eleggere nelle prime elezioni a suffragio universale maschile, non di Francia ma d’Europa, nel 1848. Per poi procedere con un colpo di Stato.
Ma il bonapartismo è una forma di governo che si basa sul suffragio elettorale inteso in chiave principale. Sentite cosa scriveva Marx ne “Il 18 brumaio di Napoleone Bonaparte”, nel 1851, Intanto la Costituzione della Seconda Repubblica. Siamo alla 5ª Repubblica quella della Seconda Repubblica francese quella che appunto poi accompagna l’ascesa di Napoleone Bonaparte basata sul principio della duplice elezione contestuale il capo del Governo da un lato il Presidente della Repubblica in quel caso è il Parlamento. Dice: “Mentre i voti della Francia si disperdono sui 750 membri dell’Assemblea nazionale, qui invece si concentrano su un solo individuo. Mentre ogni singolo rappresentante del popolo rappresenta soltanto questo o quel partito, questa o quella città, questa o quella testa di ponte, o anche semplicemente la necessità di eleggere un settecentocinquantesimo qualunque, senza considerare troppo per il sottile né la cosa, né l’uomo, egli è l’eletto della nazione, e l’atto della sua elezione è la briscola che il popolo sovrano gioca una volta ogni quattro anni. L’Assemblea nazionale eletta è unita alla nazione da un rapporto metafisico, il presidente eletto è unito alla nazione da un rapporto personale. E’ ben vero che l’Assemblea nazionale presenta nei suoi rappresentanti i molteplici aspetti dello spirito nazionale; ma nel presidente questo spirito si incarna. Egli possiede rispetto all’Assemblea una specie di diritto divino; egli è per grazia del popolo.”
Marx non era un costituzionalista, però coglie molto bene quel surplus di legittimazione simbolica che fornisce l’elezione diretta. Lo vediamo anche nel caso del presidenzialismo. E vi ho già detto che quello di cui stiamo parlando è qualcosa di diverso, di peggiore.
Tutto poi si polarizza intorno alla scelta dell’uomo, della donna che incarna la nazione; Laddove invece una carica monocratica non può essere rappresentativa, la nazione è un organo bicefalo, con tante teste.
Dicevo che il Parlamento può effettivamente rappresentare, ossia rispecchiare e riflettere la complessità presente nella società, o rappresentare anche i conflitti e le diverse opinioni che esistono nella società. E quindi concludo. Se questa riforma andasse in porto, sarebbe davvero il capolavoro di Giorgia Meloni e del suo partito. Perché c’è un aspetto su cui ancora non mi sono soffermata, ma non è meno importante delle cose che ho detto: che questa riforma ambisce a rifondare, rifondare su basi nuove la nostra Repubblica. E non è un aspetto secondario che a tentare questa operazione sia un partito erede del Movimento Sociale Italiano, erede del fascismo, erede di una parte politica che non ha contribuito a scrivere la Costituzione del ‘48 e che per un certo periodo è rimasto al di fuori dell’arco costituzionale, così si diceva, poi in realtà ci rientrava.
Ebbene quella forza politica oggi vuole intestarsi una nuova Costituzione, la Terza Repubblica italiana visto che si dice la seconda dal 1990, e metterci il sigillo. Una nuova Costituzione diversa da quella da quella antifascista basata su altri presupposti.