Estratto dal n° 6D della serie di 12 Quaderni multimediale sulla Resistenza – Scuola e Territorio
Ricerca triennale delle classi
a.s. 1997-’98: 1^ B/IGEA e 5^ B/PNI
a.s. 1998-’99: 1^ A/IGEA e 4^ A/Op.Tur.
a.s. 1999-2000: 2^ A/IGEA e 5^ A/Op.Tur.
dell’Istituto Tecnico Statale Commerciale e Professionale per il Turismo “L. B. ALBERTI” di Luserna S. G. e Torre Pellice
Coordinata dai Proff. Luigi Bianchi e Marisa Falco

Qui il sito originario
Qui abbiamo raccontato la storia dei Quaderni

Leggi il testo qui di seguito o vai all’opuscolo originale.

L’8 settembre non giunse del tutto inatteso”

Dalla attività clandestina prima dell’8 Settembre, allo sbando dell’esercito, alla lotta armata; nelle parole di un protagonista assoluto, Paolo “Poluccio” Favout, comandante della brigata “Val Germanasca”, poi della “Val Pellice” ed infine della V Divisione GL, un affresco a grandi pennellate del “periodo ardente della Resistenza”.

Pubblicato sotto il titolo “Il comandante Poluccio (Paolo Favout) – Testimonianza rilasciata a L. Bianchi e M. Falco dell’Alberti, 1998-1999”

Già a metà giugno 1943, a Torre Pellice, in casa Rollier, famiglia antifascista, prendeva forma un coordinamento con uomini politici di Torino, Firenze e Milano.

Giorgio Agosti, che poi sarebbe stato l’intrepido e intelligente capo di Giustizia e Libertà per il Piemonte, i fratelli Sandro e Carlo Galante Garrone, i fratelli Mussa Ivaldi Vercelli, Airaldo Banfi, Spini, Coisson, Roberto e Gustavo Malan e altri trovarono a casa Rollier, con tutta la famiglia, l’ambiente giusto per l’organizzazione di una Resistenza possibile, anche armata.

E così l’8 settembre non giunse del tutto inatteso. Ecco la diversità con altre zone del Pinerolese.

Non avevo obblighi militari, essendo in congedo assoluto per una ferita riportata nei Balcani; ma le cose viste e patite, l’avversione per un regime illiberale, mi spinsero verso impegni politici più chiari.

L’avversione per generali e gerarchi responsabili di un asservimento insopportabile trovò in amici, reduci anche loro da prove negative, un’analoga volontà di discutere sui fatti quotidiani, di coltivare un comune sentire.

Per curiosità, già al 25 luglio, in piazza si commentava il significato di una certa lapide che era stata martellata. I carabinieri ci portarono in caserma. Non ero io l’incriminato, ma ci tennero mezz’ora in caserma per spiegarci cosa fosse ‘l’amor di Patria’.

Ho spiegato loro che, dopo essere stato 40 giorni in una specie di Ospedale a Mostar (Bosnia), immobilizzato, assieme alla Base di servizio mi riempirono un sacchetto di gallette e scatolette, mi caricarono su un barcone che trasportava sabbia fino a Melcovich (40 chilometri) e poi fino a Spalato, affidato a manovali, sempre su rudimentale barella, come un peso morto, caricato e scaricato, finalmente infilato su un battello civile fino a Zara o Fiume, derubato di tutto quel poco.

Da Fiume a Baveno, dopo 5 mesi spedito a casa: per fortuna, con le grucce muovevo i primi passi.

Pensione di guerra: lire trentacinquemila. [Favout si esprime ovviamente in valore 1998; secondo gli indici di rivalutazione monetaria la somma corrisponde a 30€ 2024] .

L’amor di Patria’ passa anche in quei discorsi tra amici, durante l’estate del ’43.

Con il professor Lo Bue ci si incontrava alla sera, sovente nella sua cameretta, a commentare libri e pubblicazioni, che parlavano di giustizia, di libertà, di democrazia, di poeti e di uomini liberi.

La caduta di Mussolini prima e la fuga del Re poi, lasciarono in Italia un vuoto di potere pauroso.

Il centro Sud agli Alleati, il centro Nord ai Tedeschi, le forze politiche costrette in galera o in esilio, prestanomi cercarono un nuovo assetto politico con Badoglio.

Ma il definitivo crollo dell’esercito, con sei o settecentomila soldati fuori dai confini consegnati ai tedeschi, altri in patria senza ordini, lo sbando e l’abbandono delle armi, armi che poi servirono un po’ ad armare le prime bande.

Già la sera del 9 eravamo saliti a Villanova, dove un forte presidio di Guardie alla Frontiera doveva difendere i confini con la Francia.

Invitammo la guarnigione a difendersi dagli attacchi ‘provenienti da ogni parte’ (leggi Tedeschi), come proclama ultimo dell’armistizio.

Ci misero al muro per ‘sobillazione’.

Per fortuna un precario telefono da campo portò la conferma dello sbando.

Scesi a Bobbio appena in tempo per vedere giungere un carro armato, un’auto blindata preceduta dal solito moto-sidecar.

Il Colonnello italiano consegnò, sulla piazza, sull’attenti, la propria pistola, il magazziniere le chiavi dei depositi… Con un migliaio di soldati straniti, si era chiusa la guerra dei regolari in Val Pellice.

Si apriva la guerra dei ‘ribelli’. Lo sbando generale era in linea con lo sbando delle altre piazze.

Ritornati a Torre, ci avvisarono che tutti, da casa Rollier, erano scesi alla caserma degli Airali, per cercare di impedire alla folla il saccheggio di ogni cosa: viveri, vestiario, armi, casse di pistole, cavalli… Spettacolo da brivido.

Grazie ancora a quei cittadini che in un’ora grave conservarono la dignità di uomini e impedirono soprusi e vendette.

Bisogna ricordare che a inizio ottobre vennero in contatto e rimasero alcuni giorni con noi sei o sette ufficiali superiori, maggiori o colonnelli: Di Nanni, per esempio, rimase fino alla fine; il Colonnello Ciochino fu per breve tempo responsabile con Roberto Malan per la Val Pellice; il colonnello Trezzi, il colonnello Quaranta, esempio per tutti, ed altri che per l’età ed educazione non sempre si sentivano ‘ribelli’ e reputavano velleitarie certe esuberanze giovanili.

Non sempre avevano torto.

Il generale Vercellino e il generale Operti erano arrivati in valle dopo lo sbando della IV^ Armata: cercarono per molti giorni l’accordo con le nuove forze politiche a Torino.

Si trattava di mettere in piedi una forza armata efficiente, tanto di inquadramento e disciplina, una sia pur modesta paga giornaliera… Non se ne fece nulla, anche perché i soldi non c’erano.

Intanto si proseguiva, fra tante incertezze, su quella strada ormai irreversibile.

La guerra procedeva con lentezza. Le speranze di sbarchi alleati in Italia si affievolivano.

La resa germanica non era dietro l’angolo.

All’interno le forze politiche si organizzavano e prendevano coscienza della propria forza.

I comunisti, fortemente organizzati, provenivano da decenni di clandestinità e di catechesi politica: esponenti e predicatori, propagandisti validi e impegnati.

Altre forze socialiste e liberali, meno portate a dogmi o a verità assolute, trovavano meno entusiasmo fra le masse operaie, ma grazie ai Comitati di Liberazione Nazionale paritetici diedero un grande contributo alla Resistenza.

Con l’irrigidirsi della repressione tedesca, la caccia all’ebreo… sbandati, proscritti cercano rifugio in altre zone.

Si passa l’inverno come si può, ma con l’anno nuovo aumentano le ‘bande’ dei ribelli, il numero sale e gli occupanti sono costretti a prendere atto che ormai questa è una questione militare.

Ma anche per i partigiani aumentano i problemi.

Bisogna provvedere a nutrire e vestire un crescente numero di giovani.

Sovente impreparati alla dura, durissima vita del braccato.

La poca economia valligiana non può agevolmente mantenere nuove reclute dopo il carico dei primi sfollati dalla città.

Si cerca e si crea l’Intendenza in pianura. Pianura, per fortuna, ampia e generosa. Ci vogliono uomini di grande capacità e coraggio.

Quanti sono caduti per rifornire non soltanto i partigiani, ma anche la popolazione, di viveri, di carne, di grassi, di vestiti, perfino di legna per scaldare, persino di sale, quando i nazisti promettevano, con i loro manifesti, di dare 2 kg. di sale a chi denunciava un partigiano e fino a 5 chilogrammi, se il partigiano denunciato fosse stato armato! Non si potevano respingere coloro che cercavano l’alternativa all’arruolamento nelle ‘Brigate Nere’ o nelle S.S.

Non si potevano respingere, anche se provocavano problemi.

Sarebbe stato meglio se, per ipotesi, fossero arrivati 20 specialisti che avrebbero potuto arrecare maggiori danni all’occupante, piuttosto che 100 ragazzi, necessariamente meno addestrati.

Ma l’entusiasmo doveva trovare solidarietà. Era tutto un popolo che doveva partecipare alla sua libertà.

Si è sempre cercato di tenere le cosiddette ‘basi’ defilate da paesi o borgate, a costo di disagi, di marce defaticanti, per non esporre i valligiani a rappresaglie, per non esporli perfino a dover mentire alle brutali richieste dei ‘rastrellatori’ circa la presenza di ‘Banditen’.

La Resistenza non voleva essere causa di distruzioni e di infamie. Purtroppo sono state già troppe! Le ‘basi’ erano ovunque vi fosse una famiglia amica. Vi sono state storie vere e generose quotidiane. Non sono sempre state narrate. Si è preferita l’agiografia. L’esaltazione-retorica, un po’ ‘partigiana’.

In Val Pellice, le ‘basi’ non erano caserme, ma aree di territorio dove si trovava recapito per scambi di materiale, coordinamento per le azioni. Erano basi di riferimento ed i responsabili del territorio provvedevano alla sicurezza, vigilavano su movimenti di estranei e segnalavano eventuali pericoli.

Dai confini con la Francia a Villar Pellice, la zona di Torre, la Val d’Angrogna, la Sea di Torre, Luserna San Giovanni, Rorà, Bricherasio… I veri campi armati erano più defilati.

Le giunte clandestine di governo furono la forza determinante per la guerra di Liberazione.

Costituite in molti comuni da uomini coraggiosi e di grandi capacità organizzative che, rischiando la vita, fornivano ai podestà, ormai figure di facciata, le disposizioni dei Comitati Centrali, fatte proprie dai Comandi del Corpo Volontari della Libertà.

Sono state le Giunte Clandestine un raccordo efficace con le popolazioni.

Segnalavano e dosavano localmente il peso delle requisizioni, lo scarico delle stesse presso gli Uffici Prefettizi, le piccole o grandi inadempienze, i piccoli o grandi reati.

Fra tante difficoltà, nel rischio di delazioni, di denunce, ecco lo spirito nuovo, cittadino responsabile, che tutti noi avremmo voluto per sempre.

Il grande rastrellamento, che interessò la Val Pellice nell’agosto del ’44 e coinvolse tutte le zone al Nord est di Torino, cambiò volto alla Resistenza.

Le cifre dei Comandi nazifascisti parlavano di migliaia di ‘banditi’ uccisi, migliaia di prigionieri, ricchi depositi distrutti. Niente di tutto ciò. Si sono avute perdite dolorose, sbandamenti temporanei, anche oltre confine, case di montagna incendiate.

Però si capì che non era più possibile affrontare in montagna un secondo inverno, dopo che le speranze dello sbarco al sud della Francia non implicavano un attacco all’Italia.

Il proclama di Kesserling non aveva fatto grande impressione. Anche i generali alleati erano condizionati dalle esigenze politiche. L’Inghilterra doveva fare i suoi giochi nei Balcani, l’America se ne fregava un po’ e non voleva sacrificare inutilmente i suoi uomini, però li mandò al massacro in Normandia, la Russia, per i suoi progetti politici, non voleva aiutare chi non era dalla sua parte.

Qui in valle, ed in Germanasca, le squadre, i distaccamenti vennero ridimensionati e si formò una nuova formazione che si trasferì verso il Monferrato, oltre la pianura torinese.

Il Gruppo Mobile Operativo, al comando di Riccardo Vanzetti ‘Renato’, elemento di valore, legato ai servizi speciali, poliglotta, ingegnere. Era lui il coordinatore capo missione dei lanci.

Con l’interessamento e l’autorità di ‘Renato’ abbiamo avuto una quantità di lanci, dati anche in parte ai Garibaldini di ‘Barbato’.

Nel frattempo, Prearo, comandante della Brigata Val Pellice, era stato destinato a Torino con incarico di collegamento e ‘Renato’ tenne il comando della Brigata e quello del Gruppo Mobile Operativo (G.M.O.), formato da squadre della Val Pellice e da giovani dell’Astigiano.

Durante l’inverno ’44-’45, questa formazione divenne il richiamo della zona attorno a Torino e nella primavera ’45 protagonista di eccezionali azioni di guerra.

Con il trasferimento a Torino di Prearo e la nuova formazione del G.M.O., fui trasferito dalla Brigata Germanasca alla Val Pellice, che, assommando le due formazioni, generò la V Divisione Giustizia e Libertà (ottobre 1944), che comprendeva anche la Brigata ‘Lino Dagotto’, Intendenza e Polizia e poi la Brigata ‘Dino Buffa’ nella bassa valle e pianura pinerolese.

Due facce dello stesso caso. Martina, quando si è trovato con oltre 200 uomini, è stato travolto dalle responsabilità, perché lui era 24 ore al giorno in mezzo ai suoi ‘partìgia’. Si è ritirato e basta.

Mi rincresce perché Martina era bravo e coraggioso, un amico.

E’ indispensabile leggere il libro di Prearo ‘Terra ribelle’.

Con l’inverno ’44-’45, ci si preoccupò maggiormente dell’ordine pubblico. La Polizia della Divisione aveva la giurisdizione sul territorio della Val Pellice, bassa Val Chisone, Germanasca, la pianura fino a Piobesi. Questa polizia era formata in parte da carabinieri, ora partigiani, da elementi anche delle giunte clandestine, da ufficiali e sottufficiali del passato esercito.

I tribunali, chiamati a risolvere anche rapporti fra diverse formazioni, anche all’interno della Divisione, erano formati da Comandanti e dai Commissari di Guerra di ogni Brigata, dai rappresentanti dei gruppi interessati, a volte anche dai rappresentanti delle giunte, avvocati o sindaci, che militavano nelle formazioni della Resistenza, clandestinamente, e magari esercitavano presso i Tribunali, in quel momento ancora legittimi.

Con la primavera, l’avanzata alleata riprese e la guerriglia ormai dilagava. Crebbero le forze e si ritornò ai numeri dell’estate ’44. Ogni giorno portava situazioni nuove, cresceva l’ansia di fare presto.

I convogli nazi-fascisti, colpiti da squadre ormai motorizzate, dovevano evitare zone: achtung, Banditen! Terrorizzavano le valli, ma ora anche i cittadini sentivano il profumo della fine della tragedia.

Alla nostra formazione era stata assegnata la zona per l’insurrezione finale.

Da ricordare che da mesi, nella città di Torino, operava un gruppo di studenti che tenevano aggiornati i movimenti militari di questa zona, fortini, difese anticarro, forze presenti, orari, armi… Dunque la zona che era stata assegnata andava dal confine con la Francia a Torino città, fino alla Stazione di Porta Nuova lato Corso Stupinigi, Corso Vittorio Emanuele, Corso Castelfidardo, lato Carceri Nuove, Crocetta, Airasca, Pinerolo, la sponda sud del Pellice alla confluenza con il Po.

In alta valle, si presidiava la frontiera per evitare amichevoli, ma spiacevoli malintesi con i ‘Maquis’ francesi: allora la Francia reclamava, ed ottenne, rettifiche del confine.

In bassa valle, si contrastavano le rimaste forze nemiche in fuga; si dovevano sostenere le nuove autorità che si sarebbero insediate.

Si garantiva l’ordine pubblico, si doveva provvedere per i viveri, la rivoluzione doveva portare pace e serenità.

Il grosso della formazione, con reparti della Val Pellice, della Germanasca, della ‘Dino Buffa’ e dell’Intendenza, doveva partecipare alla Liberazione di Torino: 200 uomini con automezzi e viveri.

L’insurrezione è stata un po’ affrettata, perché talmente abituati ai rinvii… Eravamo in fase di ristrutturazione, ma avevamo un buon numero di automezzi che ci consentì ugualmente buoni risultati.

Come un fatto lungamente atteso si traduce in improvvisa realtà, la guerra ebbe fine. La pace si impose su un mondo di macerie, come piena di fiume dopo la tempesta. La smobilitazione affrettata creò problemi enormi. Gli alleati temevano un esercito ormai agguerrito ed armato, non composto da professionisti militari, ma da volontari, ora non chiaramente schierati.

In pochi giorni migliaia di giovani disoccupati, di reduci dai campi di prigionia, di appartenenti ai reparti ex-fascisti… Le fabbriche a pezzi, le strade e ferrovie sconvolte, i trasporti precari.

Ecco, i trasporti… I partigiani, ex-partigiani della V, con parte del materiale rimasto efficiente, crearono una Cooperativa Trasporti, ‘La Pinerolese’, impegnata a dare un minimo di sussistenza a quanti non avevano lavoro.

Installarono automezzi e magazzini nella ex caserma, vicino alla caserma degli Alpini a Pinerolo.

In seguito, con l’appoggio del Governatore alleato, il Cap. Poyer, si organizzò un lavoro importante.

Tra l’altro un servizio di distribuzione di ogni genere per i 35 comuni dell’alto e basso Pinerolese; trasporti per ogni parte d’Italia; istituzione di una mensa che distribuiva due pasti al giorno, non solo ai dipendenti dell’azienda, una sessantina e più, ma anche a quanti disoccupati non avevano ancora trovato lavoro nel circondario.

Durò oltre un anno questa Cooperativa che voleva solo essere un temporaneo aiuto a quanti cercavano una definitiva sistemazione. Ero il Presidente di questa Cooperativa Trasporti ‘La Pinerolese’, il cui Consiglio di Amministrazione era formato dai comandanti di 4 Brigate: Balmas Federico, Bruno Vaglio, Giulio Giordano, Guido Beux, Cotta-Morandini Giuseppe, Luigi Demaria.

Prima di chiudere l’attività si era provveduto a fornire ad un centinaio di giovani, gratuitamente, la patente di guida per automezzi pesanti. Si fornirono i primi materiali per la costruzione del ‘Rifugio Jervis’ al Pra, quale monumento al sacrificio dei 200 caduti. Si chiuse il periodo ardente della Resistenza.

[fine]