Premessa

Sotto il titolo “Testimonianze oltre il ponte” i numeri 7 e 7A dei Quaderni sulla Resistenza in Val Pellice riportano una lunga serie di testimonianze rese da un piccolo gruppo di partigiani che hanno militato nelle formazioni garibaldine dell’alta Val Luserna. Il ponte a cui fa cenno il titolo è quello che unisce i due versanti del Pellice all’altezza di Luserna San Giovanni, tra le frazioni di Airali e Luserna Alta e che permette di accedere appunto alla Val Luserna.

Occupata in un primo tempo da formazioni spontanee di giovani renitenti alla leva che arrivavano dalla pianura e dall’area di Torino che si richiamavano genericamente al movimento Giustizia e Libertà, la valle fu in seguito occupata stabilmente dalle formazioni di Pompeo Colajanni “Barbato” e Vincenzo Modica “Petralia” organizzate allora nella 4ª Brigata della 1ª Divisione Garibaldi “Carlo Pisacane”, la futura 105ª Brigata d’assalto, che vi trovarono rifugio dopo il duro rastrellamento tedesco del dicembre 1943.

Le testimonianze pubblicate sui Quaderni sono “ricordi” scritti in piena libertà dai protagonisti, manoscritti o dattiloscritti i cui originali sono andati perduti, fatti pervenire ai curatori dei Quaderni grazie all’interessamento e, immaginiamo, alle sollecitazioni di due protagonisti molto attenti alla conservazione della memoria, Renzo Sereno, all’epoca presidente della sezione ANPI di Luserna San Giovanni, e Vittorio Rostan, comandante di uno dei distaccamenti della Brigata.

Tra i contributi emergono quelli, numerosi, di Luigi Negro, il partigiano “Dante”, comandante di distaccamento e commissario di guerra.

Estratto dal n° 7 della serie di 12 Quaderni multimediale sulla Resistenza – Scuola e Territorio
Ricerca triennale delle classi
a.s. 1997-’98: 1^ B/IGEA e 5^ B/PNI
a.s. 1998-’99: 1^ A/IGEA e 4^ A/Op.Tur.
a.s. 1999-2000: 2^ A/IGEA e 5^ A/Op.Tur.
dell’Istituto Tecnico Statale Commerciale e Professionale per il Turismo “L. B. ALBERTI” di Luserna S. G. e Torre Pellice
Coordinata dai Proff. Luigi Bianchi e Marisa Falco

Qui il sito originario
Qui abbiamo raccontato la storia dei Quaderni

Leggi il testo qui di seguito o vai all’opuscolo originale.

Tre racconti partigiani dell’aprile 1945
Edgardo Paschetto, “Edo”

1. Il treno non va più

Base di Triboletto, Val Luserna, circa metà di aprile.

Con il binocolo sono di guardia nel cortile da cui si spazia su un tratto della valle e soprattutto su Monforte, ove giunge la carrareccia che sale a Rocca Boudet, sul crinale Torre Pellice-Val Luserna, spesso meta dei tedeschi nelle loro esercitazioni e nelle loro puntate esplorative a caccia di eventuali partigiani.

Ed ecco che vedo giungere di corsa, sul sentiero che da Monforte porta a Triboletto, la staffetta Lydia.

Avverto subito Vittorio, il nostro comandante. Ci mettiamo in preallarme, perché pensiamo ad un imminente rastrellamento. La staffetta, trafelata per la corsa, ci dice di fare qualcosa.

Il capostazione di Torre Pellice, che milita nella resistenza clandestina, ha saputo dal fratello, pure capostazione a Torino, che un vagone tedesco, carico di esplosivi vari, è in partenza con destinazione Torre Pellice.

Unica possibilità, a disposizione della Resistenza, è fare saltare i binari senza indugio.

Per ordine di Vittorio, allora, da Triboletto partono due nostri sabotatori, ‘Karl’ (tedesco disertore nel nostro gruppo) e ‘Cucciolo’, con plastico e matite esplosive. Cercheranno di fare saltare i binari a ovest della stazione di Bibiana.

Di guardia ai binari, per coercitivo servizio voluto dai tedeschi, ci sono uomini della zona, prelevati con la forza.

I nostri due sabotatori li fanno allontanare in fretta e furia e, a poche centinaia di metri dal posto di blocco tedesco, sistemano il plastico con le relative matite ‘a tempo’.

Noi, da un posto di osservazione sulle alture della Gianavella, attendiamo trepidanti le esplosioni… che finalmente giungono alle nostre orecchie e ci dicono che la missione è riuscita! Sapremo infatti più tardi che circa venti metri di binario sono saltati in aria.

I tedeschi non riuscirono a ripristinare la ferrovia in tempo utile; la guerra stava per giungere al suo termine.

Provarono a salire in valle il 26 aprile, con due camionette, ma nella zona del Valentino, tra gli Airali e Torre, un fuoco concentrico dei partigiani fece saltare ed esplodere la prima camionetta, mentre la seconda riuscì a darsi alla fuga.

La nostra Valle, che il giorno dopo sarebbe stata imbandierata e libera, rimase, così, indenne da altri incendi, da altre rovine e da altri lutti…

2. Pier Domenico Barigazzi, Gennaro e il cappello del diavolo

Questo secondo racconto, anche se per certi aspetti più difficile da narrare, è meno importante del primo; tuttavia ha la sua storia e la sua lezione… E prima di iniziare il racconto vero e proprio è necessario fare tre premesse.

Prima premessa: è il venerdì santo, 30 marzo 1945 e ricevo da Vittorio l’ordine di accompagnare, con gli occhi bendati il prigioniero, Pier Domenico Barigazzi, dalla centrale elettrica del bacino Turati a Triboletto. Non è delle brigate nere ed è stato fermato disarmato. Ho l’ordine di aiutarlo nella non facile salita al Triboletto, poiché quella salita la deve fare ad occhi chiusi poiché non deve assolutamente conoscere la zona dove sarà accompagnato ed io, strada facendo, sento simpatia per quel giovane studente in medicina che, pochi giorni dopo, espletati gli accertamenti del caso, Vittorio può ricevere nelle nostre file con l’unanime nostra approvazione, oltre all’approvazione del superiore comando. La seconda premessa parla dell’istituzione di un nuovo servizio suppletivo di guardia, voluto dal comandante Vittorio: prima dell’alba, svegliata dalla sentinella notturna, una pattuglia di tre uomini deve salire di sorveglianza a Rocca Boudet (sul crinale tra la Val Pellice e la Val Luserna) a prudente protezione della nostra base di Triboletto.

La terza premessa di cui devo parlare è il cappello tedesco da ‘Alpenjäger’ che il nostro compagno Gennaro, a mo’ di trofeo, porta in testa, malgrado più volte sia stato sconsigliato a portarlo da Vittorio e da altri compagni.

La mattina del 21 aprile (il Natale di Roma per il Ventennio fascista) parte per Rocca Boudet la pattuglia di cui fa parte Gennaro e il normale grande servizio di guardia della base.

Passa circa mezz’ora; è appena l’alba e una nutrita sparatoria ci fa scendere dai nostri giacigli, ci mette in allarme e ci disorienta, poiché non abbiamo potuto capire da che parte essa provenga.

Ci sparpagliamo per l’ampio Bric dei Banditi.

Nascondo con cura (è il mio compito in tali frangenti) la cartella che contiene preziosi incartamenti del distaccamento e i vari nomi e cognomi dei componenti la nostra banda. Ci troviamo in un anfratto in cinque o sei, mentre gli altri compagni pensiamo siano nelle vicinanze.

Il tempo non passa più; c’è un silenzio strano che non ci convince. Marco vorrebbe scendere verso la nostra base ed io, per un po’ di tempo, riesco a dissuaderlo. Dopo un’ora circa, Marco torna alla carica per scendere ed io allora, affinchè non si confonda la mia prudenza con la fifa, lo seguo con gli altri compagni e faccio anzi da guida per quei sentieri impervi, grazie alla conoscenza che ho della zona.

Raggiungiamo così una piazzola da cui facilmente possiamo scorgere Rocca Boudet. Siamo un po’ in ansia per la pattuglia del mattino e per la grande guardia della base. E dalla Rocca Boudet vediamo sporgere un uomo, cappello tedesco, che fa come dei segnali che crediamo diretti a noi. “E’ il nostro Gennaro”, pensiamo ed allora un compagno, imprudentemente, grida: “Gennaro! Gennaro!”

Di colpo, ad una ventina di metri, da cespugli di ginepro, si ergono come dal nulla due tedeschi che, mauser alla mano, sparano su di noi, colti di sorpresa. Per fortuna i mauser non erano automatici! Di corsa, ci inoltriamo nel bosco. Pier Domenico Barigazzi viene ferito ad una gamba, tra due fasci muscolari e cade tra i rovi. Mimetizzati il meglio possibile, aspettiamo che i tedeschi avanzino, pronti ora a far fuoco, con la speranza di salvare la pelle. Ma i tedeschi non si vedono più. Piero, che sapeva un po’ di tedesco, ci tradurrà più tardi, dopo le prime cure, ciò che ha udito: “Caporale, andiamo avanti?” e la risposta: “No, torniamo indietro; noi siamo pochi e i ‘bandit’ sono molti; quella era solo una pattuglia”. Abbiamo capito la lezione: sulla Rocca non era Gennaro a fare segnalazioni, ma un graduato tedesco che guidava…

3. Luci ed ombre del morente aprile

Il 26 aprile da Torino saliamo in valle, in missione, per approvvigionarci di armi, di munizioni e di pane.

A Casalgrasso fermiamo 7 tedeschi sbandati che, ben volentieri, si arrendono buttando a terra i loro mauser e, evitando a Villafranca un grosso contingente tedesco che da Saluzzo si ritira su Pinerolo, giungiamo in Val Luserna.

Matè, il nostro caro panettiere, ci dice che, molto probabilmente, i tedeschi si sono ritirati quel tardo pomeriggio stesso dalla Val Pellice. Il mattino dopo sono in missione particolare con il compagno Tota; dal crinale Val Pellice-Val Luserna vedrò un quadro che non potrò più dimenticare: la Val Pellice tutta imbandierata per festeggiare la fuga dei tedeschi e la libertà riconquistata.

Al termine della missione, con mezzi di fortuna, la bicicletta, dalla Maddalena di Luserna, Tota ed io raggiungiamo Santa Margherita di Torre Pellice ove il nostro camion, con il comandante Vittorio, ci attende per ripartire per Torino.

E con noi parte una squadra che era rimasta di guardia alla valle e che desiderava vedere Torino praticamente libera.

E giunge il 30 aprile.

In massa partecipiamo, nel primo pomeriggio, al funerale di alcuni partigiani caduti durante la liberazione di Torino.

Torniamo dove siamo accantonati, alla Camera del Lavoro, e vediamo che il nostro camion è pronto per salire con una squadra in Val Luserna.

Non so quale sia la missione, ma faccio parte del gruppo in partenza.

Attendiamo Vittorio che è a capo della missione e che ancora è a rapporto con il Comando.

Intanto il commissario Oscar si avvicina al camion e chiede se qualcuno di noi sa scrivere a macchina.

Anche se non sono un dattilografo, alzo la mano e ricevo l’invito a scendere dal camion.

C’è molto lavoro da espletare durante la prossima notte, mi dice Oscar, ma prima di metterci a tavolino aspettiamo la partenza del camion con il cuore pieno di gioia poiché ci giunge la notizia che Pinerolo è stata liberata.

Gioia destinata a durare poco poiché circa un’ora dopo giunge Vittorio, seguito poi da due o tre compagni, portando la ferale notizia che in località Sotti di Vinovo, nei pressi di Candiolo, il camion è caduto in un’imboscata della Brigata Nera “Lidonnici”.

Sgomento, dolore ed ira nelle nostre file.

Il giorno dopo, 1° maggio, non possiamo e non sappiamo godere della Torino finalmente libera.

Attendiamo, nella camera ardente che abbiamo allestita ed improvvisata, le bare con i 14 nostri compagni e i 2 ignari operai che avevano chiesto un passaggio al nostro camion.

I cadaveri di alcuni nostri compagni sono stati seviziati dalle ausiliarie dei briganti neri.

Chi prese il mio posto sul camion, il caro Prometeo, non tornò dalla moglie e dalla figlia in tenera età.

[fine]