Nel marzo del 1995 Paolo Favout, il comandante Poluccio della V Divisione GL, concesse una intervista alla rivista ALP, che dedicava un numero speciale al cinquantesimo anniversario della Liberazione.

L’intento del giornale non era puramente celebrativo, era piuttosto quello di approfondire la conoscenza del particolare legame tra montagna e Resistenza. Perché, certo, la Resistenza è stata in città come in campagna, in pianura come in montagna, negli Appennini come nelle Alpi, ma nelle Alpi si è connotata di modelli di sopravvivenza, tattiche, contatti e relazioni con le popolazioni locali del tutto caratteristici, ed era questo discorso che il giornale voleva approfondire: dopo venti mesi di montagna, orientarsi nella civiltà era faticoso, scriveva Dante, il comandante di un distaccamento garibaldino operante in Val Luserna.

Paolo Favout, quindi, si trova a parlare della sua storia di uomo di un paese di montagna, naturalmente antifascista come naturalmente antifascista è la popolazione che ha fatto in modo che “duemila ragazzi allo sbando arrivassero vivi all’estate del ‘44”. Particolarmente significative le parole dirette e senza fronzoli che dedica alla diversità tra le formazioni GL della Val Pellice e Val Germanasca e quelle garibaldine della Val Luserna e Val Po.

L’articolo contiene tre refusi: “Abele e Bertinat” è da leggersi “Abele Bertinat”, “Pienno Boulard” è da leggersi “Pierino Boulard” e “Liceo di Luserna” è da leggersi “Liceo di Torre”.