Luigi Negro, il comandante “Dante” di un distaccamento della 105ª Garibaldi, fu tra i primi a salire a Montoso dopo l’8 Settembre.
Il suo primo capodanno partigiano fu terribile: investite da un violento rastrellamento tedesco, dopo qualche ora di resistenza le formazioni partigiane ripiegano con ingenti perdite nella Val Luserna. Alla ricerca della salvezza e di un po’ di cibo, probabilmente ignari dei massacri che i tedeschi vanno compiendo a Bagnolo (22 morti di cui 2 alla frazione S. Pietro, 13 alla frazione Villar e 7 alla frazione Villaretto), il 30 dicembre i partigiani si trovano a Pian Porcile.
Racconta “Dante”:
La ritirata portò a Pian Pourcel, due-tre baite, rifugio di pastori e pecore. Era un po’ in alto, buon spazio visivo controllabile, ma da mangiare niente.
Il giorno dopo, 31 dicembre, si recuperò in una base, che si stava costituendo, un paio di chili di farina per polenta, un pezzo di formaggio, un po’ di sale, un botticino d’olio, di cosa non si sa. Era di ricino, ma nessuno se ne accorse, messo nella polenta, fino a che qualcuno notò sul tardi un retrogusto che rinveniva.
Una padella, una pentola e una latta da petrolio, quelle rettangolari da venti litri.
Si rimediò un paio di galline.
Insomma si preparava un pranzo di capodanno non sontuoso, ma da non dimenticare mai.
Come fu consumato e preparato meriterebbe la penna di un Manzoni o di un Mark Twain.
Si fecero bollire le galline, divise in trentaquattro pezzi.
Nella latta a cuocere la polenta, condita con l’olio di ricino.
Nessuno pensò di annusarlo. Non si aspettò mezz’ora o almeno dieci minuti, come Dio comanda per una polenta quasi decente.
Pochi minuti. Come la farina fu tutta bagnata… alé!
Divisa in sei-sette contenitori vari a gruppetti di cinque o sei.
Il pezzo di pollo in mano, si fa per dire, che durarono dai cinque ai sei secondi per sparire in pancia e via con la polenta.
Un attimo e…. forza!
Cinque-sei mani nel contenitore del proprio gruppo.
Lo stupore fu che tirata su la mano con la… farina bagnata, la latta era pulita e lucida come più accuratamente non si sarebbe potuto lavarla.
Fu probabilmente battuto ogni primato nella durata dei pranzi di capodanno e non fu nemmeno necessario il bicarbonato per digerirlo.
Qualcuno si mise in cerca di qualcosa, qualsiasi cosa, di commestibile. ‘Matteo’, ‘Ciccio’ e ‘Marco’ trovarono delle mele, piccole, bacate, forse erano per i maiali.
Parvero buonissime, e il giorno dopo ancora più buone.
Provocarono una bella diarrea, ma si fermò quasi subito in base al principio che se in una botte non metti niente, non esce nemmeno niente.
Sotto di noi c’erano una centrale elettrica e un bacino idrico.
Scesero e si portarono alla Galiverga, in fondo alla valle, due tre ore di marcia.
I partigiani sentirono subito che non erano soli camminando in valle. Persone che vi abitavano si avvicinarono e altri si lasciarono avvicinare, e un pezzo di pane, una patata, un po’ di farina permise alla sera di fare una cena da…vero capodanno.
Beh, quasi si sentirono il calore umano e i sentimenti popolari che aiutarono a risolvere tutti i nostri problemi.
(tratto da “Scuola e Territorio, Quaderni sulla Resistenza in Val Pellice n 7A, Testimonianze oltre il ponte. In copertina, partigiani della 105ª a Rorà in Val Luserna, tratto dalla stessa fonte.)