Quando maturò l’interesse per l’illuminismo il giovane Franco Venturi si trovava a Parigi e studiava alla Sorbona. Erano i foschi Anni Trenta del secolo scorso, e Venturi non era lì per il prestigio di quella università, era lì perché il padre, docente universitario a Torino, era dovuto emigrare a Parigi dopo avere rifiutato di prestare giuramento al fascismo, uno dei 13 su 1200 docenti a rifiutarsi di farlo. Ed era lì perché anche lui, da studente liceale a Torino, s’era già fatto fermare per attività antifascista, cosa che lo aveva convinto a seguire le orme del padre per evitare il peggio.

E’ probabile che sia stato il Piero Gobetti di Risorgimento senza eroi a fargli scoprire la figura di Alberto Radicati conte di Passerano e Cocconato, “il primo illuminista della penisola” morto in disgrazia in Olanda nel 1737; ed è probabile che abbia letto il volume a lui dedicato da Alberto Alberti, pubblicato nel 1931 per i tipi dell’Istituto Giuridico della Regia Università di Torino.

Tuttavia non è dato sapere quando, nel corso degli Anni Trenta, Venturi cominciò a scrivere note e appunti su Radicati; la sua vita era un tale miscuglio di attività di militanza antifascista e attività di studio e di ricerca da rendere impossibile districarle e individuare quello che potrebbe essere un periodo di studi.

Attivo nel movimento “Giustizia e Libertà” di Carlo Rosselli e collaboratore del settimanale omonimo, dopo l’occupazione nazista di Parigi passò in Spagna, dove fu incarcerato dalle autorità franchiste e successivamente consegnato ai fascisti che lo confinarono ad Avigliano, in Basilicata.

Dopo la caduta di Mussolini fece una breve tappa a Roma, giusto il tempo di frequentare qualche riunione del gruppo federalista europeo dove ebbe occasione di conoscere la sorella di Altiero Spinelli, Gigliola, per proseguire poi per Torino. Lì fu raggiunto da Gigliola, con cui da allora condivise in una soffitta di Via Balbis una intensa attività di studio insieme alla guerra clandestina quale membro dell’esecutivo del Partito d’Azione, diretta filiazione del movimento “Giustizia e Libertà”. Nome di battaglia “Nada”, niente: era quello che i prigionieri nel carcere franchista si sentivano rispondere quando chiedevano da mangiare.

Dopo l’8 Settembre si spostò per un breve periodo in Val Pellice per dare il suo contributo alla organizzazione della lotta armata contro il nazifascismo che lì sembrava germogliare prima che altrove, e vi fece la conoscenza di Roberto Malan, il futuro commissario di guerra della V Divisione Alpina Giustizia e Libertà “Sergio Toja” con cui nel corso dei 20 mesi di guerra partigiana intrattenne stretti contatti operativi e solidi rapporti umani.

Non sappiamo come sia andata la storia dei suoi studi su Alberto Radicati; sappiamo solo che all’inizio della guerra aveva nel suo bagaglio un dattiloscritto di 251 pagine collezionato nel corso degli anni e intitolato Opuscoli curiosi interamente dedicato all’opera di Alberto Radicati e che riportava quasi per intero le sue opere; sappiamo che riuscì in qualche modo a portarlo con sé fino a Torino e a custodirlo durante la clandestinità, che a Liberazione avvenuta pensò di darlo alle stampe con le Edizioni U di Firenze, e che dopo la chiusura di queste ultime nel 1948 lo affidò all’amico e compagno d’armi Roberto Malan, che aveva avviato una fortunata carriera di imprenditore, perché gli formulasse un progetto editoriale.

Nulla di strano che in quella soffitta di via Balbis dove lui e Gigliola studiavano e tessevano le fila della Resistenza a Torino e in Piemonte, e sia detto en passant facevano appassionatamente all’amore come traspare da qualche poesia di Gigliola, nulla di strano che quel voluminoso e prezioso dattiloscritto sia stato preservato.

Il personaggio Venturi era fatto così, per lui la storia, il pensiero, le idee e i libri che ne sono il supporto non erano meno importanti delle armi nella lotta contro il fascismo. Vittorio Foa, suo caro amico, ha raccontato che quando nel periodo della clandestinità lo presentò ad Anna Maria Levi, la sorella di Primo, lui le affidò una valigia. Dopo la guerra Anna Maria andò a restituirgliela e gli chiese cosa mai contenesse quella valigia: armi? Esplosivi? “L’esprit des lois di Montesquieu”, le rispose. Probabile, se non sicuro, che contenesse anche gli Opuscoli curiosi: non ne avrà disseminate tante in giro di valige coi testi dei grandi illuministi!

Questo ci porta a dare la giusta importanza al gesto con cui Franco Venturi affidò il dattiloscritto a Roberto Malan. Che lo prese, lo custodì gelosamente nella sua casa di Viale Dante a Torre Pellice… e se ne dimenticò.

 

(Sopra: Franco Venturi al confino ad Avigliano nel 1941, e Roberto Malan con la moglie Bianca Revel e Ferruccio Parri nella copertina del suo libro Amici, fratelli, compagni. Memorie di un valdese del XX secolo, Ed. L’Arciere 1996.
Sotto, una poesia di Gigliola Venturi Spinelli.)

Torino dei vent’anni. (1991)

Mi lasciavo impregnare
dalla città
da te
dall’amore.
Tutto aveva un sapore speciale
da vigilia
di quella data fatale.
Dopo quel settembre
cominciò una nuova vita
ammaliante
stregata
di membra avvinghiate
di passione
di morte
di lotta.
La città respirava a fatica.
Il morbo dell’odio avvelenava l’aria
le strade.
Ma nella misera stanza l’amore trionfava
luccicava
prezioso
negli occhi.
Dava colori alla città smarrita.
Nutriva.
Il corso
la corsa
della giornata era per giungere alla sera
per ritrovarsi
per stare accanto la notte intera.
La città
viveva
nascosta nelle nostre vene.