A Torre Pellice tutti ricordano il Bar Sport a fianco di quella che fu la sede della Tipografia Subalpina che durante i 20 mesi di guerra partigiana stampò buona parte dei fogli clandestini del Partito d’Azione; e di fronte a quella che fu la caserma delle camicie nere e la sede del comando tedesco. Undici perquisizioni senza trovare lo straccio di una prova della sua fiorente attività di stampa clandestina: uno sberleffo indimenticabile della cui luce riflessa il Bar Sport finiva per risplendere.
Contrariamente a quello che potrebbe indurre a pensare la sua insegna, a metà degli anni Novanta al Bar Sport di Torre Pellice non si facevano pronostici delle partite di campionato, e non vi si parlava di formazioni della nazionale di calcio: vi si facevano riunioni di ex partigiani e vi si prendevano libri in prestito.
A dare questa impronta era il gestore, Sergio Benech, o se preferite Benecchio, come proditoriamente e senza avviso un ufficiale d’anagrafe fascista ansioso di italianizzare Torre Pellice aveva deciso dovesse fare di cognome la sua famiglia (e sì che di cognomi da italianizzare da quelle parti ne aveva..!).
Sergio ha sempre avuto un attaccamento quasi morboso ai libri che lo ha portato a darsi disponibile a svuotare cantine e solai e accettare lasciti di ogni genere di carta stampata per salvarne il salvabile, e gli ha fatto così riempire scaffali su scaffali e interi scantinati di libri e pubblicazioni.
E’ figlio di un buon partigiano, se insistete vi fa vedere una foto in cui si intravvede suo padre che facendo buon viso e cattivo gioco accompagna guardingo una delegazione di maquis francesi venuti a Torre Pellice nei giorni della Liberazione non si sa se per festeggiare fraternamente o se per tastare il terreno per una futura prossima invasione.
In quanto figlio di buon partigiano ha avuto fin da bambino un rapporto speciale con Roberto Malan, il commissario di guerra della V Divisione Giustizia e Libertà diventato nel dopoguerra un fortunato operatore turistico.
Malan, grazie alla sua solida posizione, si prendeva cura delle famiglie dei suoi compagni di Resistenza al punto da darsi disponibile, nel caso di Sergio, a pagargli gli studi o, a sua scelta, ad assumerlo nel suo albergo di Praly. Sergio scelse la seconda opzione e cominciò la sua vita lavorativa come sguattero (la parola è sua) nell’albergo di Malan; vi fece anche una discreta carriera, fino a quando non decise di mettersi in proprio, “ma senza litigare” con Malan, precisa.
Tutto questo, nel corso degli anni, ha fatto di Sergio Benech l’uomo di fiducia di Roberto Malan; e ha fatto in modo che, per riprendere il filo del discorso, in quella metà degli anni Novanta a Torre Pellice, in un locale attiguo al Bar Sport andasse formandosi una “Biblioteca di quartiere” il cui corpo principale era costituito dalla cassa di venti libri che ogni settimana un Roberto Malan che andava oltre i settanta affidava a Sergio. Il primo nucleo di quella che un giorno sarebbe diventata la Biblioteca delle Resistenze, sezione della Biblioteca “Carlo Levi” del Comune di Torre Pellice, con tanto di personalità giuridica costituita tra il nostro Sergio, gli ex comandanti partigiani Roberto Malan e Giulio Giordano, che si impegnavano a depositarvi le loro carte, e il pastore valdese Francesco Singleton Lo Bue, uno dei grandi ispiratori del movimento resistenziale in valle.
Come si vede, un intreccio di storia partigiana, di relazioni personali e di amore della cultura e dei libri che ne sono un supporto, che fa venire in mente il Franco Venturi che affida una valigiata di libri a Anna Maria Levi in piena guerra clandestina, come fossero armi. Lo stemma delle formazioni Giustizia e Libertà che Sergio ha voluto riportare nel suo album di ricordi sopra una locandina della “sua” biblioteca, ne fa fede.
E fu così che un giorno imprecisato di un anno imprecisato di metà anni Novanta, Sergio si trovò tra le mani un voluminoso dattiloscritto a firma Franco Venturi e a titolo Opuscoli curiosi…
Da lì in poi la storia ha il sapore delle cose scontate.
Sergio comprese subito il valore del dattiloscritto e si guardò bene dall’offrirlo in consultazione ai frequentatori del suo bar; lo rese a Malan, che lo affidò a Alessandro Galante Garrone, che lo diede a Giuseppe Ricuperati, che lo depositò alla Fondazione Luigi Einaudi di Torino che all’epoca sembrava intenzionata a curare un’opera omnia di Radicati.
E lì da allora riposa in pace, nel Fondo Franco Venturi, sezione 1.B, busta Alberto Radicati di Passerano. Opuscoli curiosi, s.d. [1941?], in attesa di una riesumazione che l’andazzo dei tempi sembra allontanare.
(In copertina, Giustizia e Libertà & Biblioteca di quartiere di Sergio Benech. Sotto, una immagine che potremmo titolare “Legami” perché documenta le relazioni tra i protagonisti della nostra storyfiction: Cofanetto di poesie custodito da Sergio Benech dedicato a Roberto Malan da Gigliola Spinelli moglie di Franco Venturi studioso di Alberto Radicati.)
NOTA BENE
Il lemma storyfiction è di pura invenzione, un ossimoro che gioca con ciò che si intende con “storia” (“Esposizione ordinata di fatti e avvenimenti umani del passato, quali risultano da un’indagine critica volta ad accertare… la verità di essi”) e ciò che si intende con “fiction” (“Quanto è frutto della fantasia e dell’inventiva… contrapposto a quello che fa riferimento a eventi reali.”) – Le definizioni sono del Vocabolario Treccani – .
Questo non vuol dire che la nostra storyfiction sia frutto di fantasia, al contrario possiamo garantirne la assoluta rispondenza a fatti e persone reali, a quanto da loro detto o fatto. Coniando l’ossimoro abbiamo semplicemente voluto mettere in rilievo come talvolta la storia non arrivi a conoscere le cose, tanto più se queste cose attengono alla banale vita di tutti i giorni di banale gente comune. In tali condizioni, è possibile che la fiction venga in soccorso alla storia. Ci appelliamo al Carlo Greppi di Storie che non fanno la Storia perché venga riconosciuto un minimo di dignità intellettuale a questo gioco di parole.