In una intervista pubblicata su Le Monde del 25 gennaio, lo storico Tal Bruttmann, specialista della Shoah, afferma che l’immagine che ci siamo fatta dei campi nazisti non corrisponde alla realtà, che è molto più complessa.

Il 27 gennaio di ottanta anni fa, ci spiega, l’Armata Rossa “inciampò” su Auschwitz nel suo percorso verso Berlino: fu una scoperta. Dopo qualche scaramuccia con le residue truppe tedesche, si prese carico di quella enorme struttura di reclusione, e proseguì. Fu solo a febbraio che cominciò a fare le prime riprese filmate e a farsi un’idea di cosa fosse quel posto.

Ma la realtà che si poteva osservare in quel momento non era più quella “vera”, quella originale: a fine 1944 i tedeschi avevano smantellato le camere a gas e i forni crematori, e nei giorni precedenti l’arrivo dell’Armata Rossa avevano deportato la stragrande maggioranza dei reclusi avviandoli a quelle che sono passate alla storia come “le marce della morte”.

Ad Auschwitz, una immensa e complessa struttura che raggruppava oltre 40 campi e sottocampi deputati a compiti specifici (Auschwitz I, il campo di concentramento principale, Auschwitz II – Birkenau, l’immenso campo di sterminio, Auschwitz III – Monowitz, il campo di lavoro forzato…) al momento in cui entrò l’Armata Rossa non erano rimasti che 7.000 reclusi, i luoghi non dicevano la loro destinazione originaria, non c’erano più le camere a gas e i forni crematori, e soprattutto mancavano i morti. C’era, insomma, poco da vedere…

L’immagine che ci siamo fatta dei campi, quella dei reticolati, dei corpi scheletriti e delle montagne di cadaveri, non appartiene in realtà a un campo di sterminio, ma ai campi di concentramento e poi di lavoro che furono scoperti subito dopo, quelli di Mauthausen, di Buchenwald o di Ravensbrück, e si dà il caso che gli ebrei che vi vediamo non dovessero essere lì, avrebbero dovuto essere altrove, avviati allo sterminio, ad Auschwitz II – Birkenau.

Quello che è successo è che dall’estate del 1944 la “guerra totale” a cui si è avviata la Germania di fronte alla ormai inevitabile sconfitta, ha imposto di economizzare forza lavoro e di avviare al lavoro forzato ebrei, zingari e omosessuali che in precedenza seguivano la via diretta dello sterminio.

Ciò spiega un paradosso ben visibile nell’Album di Auschwitz, quella raccolta di fotografie ad uso interno della amministrazione nazista che documenta le operazioni di selezione degli ebrei ungheresi deportati a Birkenau – Auschwitz II nei mesi di maggio e di giugno del 1944 e che è arrivata fino a noi grazie alla reclusa Lili Jacob: non vi vediamo reticolati, volti scheletriti e cumuli di morti ma piuttosto persone in discreto stato di salute. Erano quelli che andavano dritti alla morte senza lasciare traccia.

(Sopra: Gli effetti personali abbandonati dagli ebrei al momento dell’arrivo vengono caricati su camion; fotografia dall’Album di  Auschwitz)

Tal Bruttmann : « Les images des camps nazis ne disent pas ce qu’on leur fait dire ». Le Monde 25 gennaio 2025, articolo riservato agli abbonati leggibile solo in estratto.