di Lorenzo Tibaldo*

Se la Presidente del Consiglio avesse dovuto sostenere un esame di storia sul Manifesto di Ventotene non avrebbe conseguito neppure il misero 18.

Ci sono due pilastri fondamentali da rispettare per l’interpretazione di un testo: il contesto storico nel quale lo scritto è stato prodotto e la contestualizzazione delle parti di esso prese in considerazione nella sua totalità.

Sul primo punto la Presidente dimentica che nel 1941 siamo in pieno conflitto della Seconda guerra mondiale, con l’avanzata del totalitarismo nazista in Europa con al fianco Mussolini e la guerra che sta coinvolgendo il mondo intero. Il Manifesto indica la causa della guerra nel nazionalismo, nell’affermazione della superiorità di una razza sulle altre, sull’onnipotenza di uno Stato che accentra su di sé ogni aspetto della vita economica, sociale, culturale.

E’ sul secondo pilastro di una corretta analisi del documento che si palesa la faziosità di Giorgia Meloni, citando frasi estrapolate dal contesto.

Il Manifesto cita che la rivoluzione europea dovrà essere socialista, ma non dovrà seguire un “principio puramente dottrinario secondo la quale la proprietà privata dei mezzi materiali di produzione deve essere in linea di principio abolita e tollerata solo in linea provvisoria, quando non si possa fare proprio a meno”, e poi continua affermando che stando agli esempi storici la statizzazione dell’economia ha portato non alla liberazione dal giogo capitalistico, “bensì alla costituzione di un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori dell’economia”.

Quindi la “proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio. Questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata dagli incubi del militarismo o del burocratismo nazionale”. Non c’è nessuna indicazione di soppressione della proprietà privata come principio, ma essa si inserisce in nuove forme di organizzazione dell’economia, non fondata sullo sfruttamento dei lavoratori e secondo logiche di militariste e imperialiste, radici della guerra.

Sulla dittatura del partito rivoluzionario che forma il nuovo Stato, si può dire che è stato usato un termine infelice che riporta al pensiero al regime stalinista (dal quale il Manifesto si pone agli antipodi), ma poi il concetto viene chiarito senza ombra di dubbio. Infatti, si precisa (proprio alla luce del socialismo reale) che non deve sboccare in un nuovo dispotismo, in una nuova società servile, ma “a una vita libera, in cui tutti i cittadini possano partecipare veramente alla vita dello stato”.

Il Manifesto di Ventotene si pone contro ogni concezione totalitaria della società, e vede proprio nell’Europa federale la strada per conseguire un nuovo modello di economia e di società libera e giusta.

La presidente Meloni ha manipolato in modo vergognoso il documento, cercando di riscrivere la storia. Certamente non è la sua Europa perché lei guarda ai modelli di Trump e Orban, ed è legittimo che lo dica, ma questo non giustifica una palese mistificazione della verità storica.

 

* Lorenzo Tibaldo è Presidente del Comitato Val Pellice per la difesa dei valori della Resistenza e della Costituzione.