Le fotografie che i partigiani ci hanno lasciato sono essenzialmente autocelebrative: nella stragrande maggioranza dei casi celebrano il vincitore, talvolta, quando le condizioni tecniche e di sicurezza lo hanno consentito, celebrano il combattente; a volte, non si sa per quale concorso di fattori dato che il fotogiornalismo non era ancora nato, documentano e denunciano una esecuzione, una rappresaglia nazifascista, o almeno i suoi effetti, che nelle stesse intenzioni di chi l’aveva commessa dovevano fare bella mostra di sé per ammonimento.
Questo partito preso, questo peccato originale della fotografia resistenziale non va mai dimenticato quando ci si dispone a guardare gli album che i partigiani hanno lasciato e che i loro eredi hanno via via dato agli enti che curano la memoria storica e civile.
Ci sono due modi di guardare queste fotografie.
Il primo è immediato, istintivo: si tratta di guardare senza starci a pensare prima, assumere lo stesso partito preso, lasciarsi coinvolgere dalle intenzioni di chi ha scattato quelle foto. Ne trarremo testimonianza di una battaglia eroica, una sorta di sfida di Davide contro Golia non priva di una certa gioia: in fotografia i partigiani assumono pose marziali e si atteggiano a combattenti senza paura, capita che sorridano un po’ sbruffoni, forse con ironia, così sembra a volte.
Il secondo modo di guardare queste fotografie è più prudente, più scettico; è volto ad aggirare il significato che chi le ha fatte ha voluto dar loro per trovarne altri possibili, per indagare il contesto e trovarvi un significato più profondo, o meglio di seconda lettura. Si tratta di partire dallo sfondo, dai bordi, dal paesaggio, e solo alla fine fissare lo sguardo sul soggetto in primo piano. Allora vedremo emergere basi militari che sono poco più che catapecchie, partigiani vestiti alla bell’e meglio, malamente riparati dal freddo e poco armati, strade vuote dietro un pugno di persone che offrono un bicchiere di vino ai partigiani che arrivano in paese il giorno della Liberazione. Alla fine, se siamo fortunati, vedremo emergere dietro la spavalderia la paura , la fatica e gli stenti: i partigiani sono tutti magri, avete mai notato?
Non è un puro esercizio di lettura filologica di una fotografia, si tratta invece di capire quello che ha voluto dire e che ha comportato la Resistenza: una lotta eroica e romantica, certo, ma con alte probabilità di morire e altrettante di restar vivi, magari anche di vincere, ma di non riuscire a riscattare la vergogna del passato fascista e l’obbrobrio del presente repubblichino, e doversi rassegnare a vivere in un paese che non ha saputo conquistare la sua libertà e la sua democrazia. Vincitori ma vassalli.
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